È valido ed efficace il recesso dell’assicurato da un contratto di assicurazione pluriennale, avvenuto ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 e perfezionatosi prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge di conversione (1).
La Corte ecc. (Omissis).
FATTO
1. La società(Omissis)s.r.l. [olim, (Omissis)s.n.c.; d’ora innanzi, per brevità, “la (Omissis)”] nel 2005 stipulò due contratti di assicurazione con la società(Omissis)[che in seguito muterà ragione sociale in “(Omissis)S.p.A.”; d’ora innanzi, per brevità, “la (Omissis)”].
Il primo contratto era denominato “Rischi industriali” ed aveva il n. (Omissis); il secondo era denominato “Responsabilità civile” ed aveva il n. (Omissis).
Ambedue le polizze suddette avevano durata pluriennale.
2. Il 1° febbraio 2007 entrò in vigore il d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (c.d. “decreto Bersani”), il cui art. 5, comma 4, accordò agli assicurati la facoltà di recesso ad nutum dai contratti di assicurazione pluriennali, con preavviso di 60 giorni.
Il 16 marzo 2007 la (Omissis), avvalendosi di tale facoltà recedette dai contratti.
Il 2 aprile 2007 venne pubblicata in G.U. la l. 2 aprile 2007, n. 40, che convertì in legge, con modificazioni, il d.l. n. 7 del 2007.
La legge di conversione modificò il decreto-legge stabilendo che il recesso dalle polizze pluriennali stipulate prima dell’entrata in vigore della legge stessa (e quindi prima del 3 aprile 2007) fosse consentita solo se il contratto era “stato in vita” per almeno tre anni.
3. Nel 2008 la società(Omissis), invocando tale previsione, contestò all’assicurata la validità del recesso, e chiese in via monitoria al Tribunale di Lodi la condanna della (Omissis)al pagamento di varie rate di premi scadute, relativi alle due polizze stipulate nel 2005, per l’importo di euro 7.975,46.
Il Tribunale accordò il richiesto decreto ingiuntivo.
4. Proposta opposizione a decreto dalla (Omissis), il Tribunale di Lodi con sentenza 27 gennaio 2010, n. 2758 revocò il decreto e rigettò la pretesa della (Omissis).
Per quanto qui ancora rileva, il Tribunale di Lodi ritenne che il recesso dell’assicurato, essendo valido e consentito dal d.l. 7/07 al momento in cui venne esercitato, aveva provocato ipsofacto lo scioglimento del contratto, sicché nessun rilievo poteva avere avuto, sulla ormai avvenuta dissoluzione del contratto, la successiva legge di conversione.
5. La Corte d’appello di Milano, adita dalla società(Omissis), con sentenza 3 luglio 2013, n. 2695 rigettò il gravame.
Ritenne la Corte d’appello che la legge di conversione, nulla disponendo per il passato, aveva prodotto i suoi effetti solo dal momento della sua entrata in vigore: con la conseguenza che il recesso della (Omissis)dalle due polizze stipulate con la (Omissis)era stata validamente compiuta “vigente il decreto legge che la consentiva”.
6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla società(Omissis), con ricorso fondato su un solo motivo.
La (Omissis)ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, anch’esso fondato su un motivo.
La società(Omissis)ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
DIRITTO
1.Il motivo unico del ricorso principale.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Si lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 77 Cost., comma 3; l. 2 aprile 2007, n. 40, art. 5.
Deduce, al riguardo, che in virtù dell’art. 77 Cost., in caso di mancata conversione in legge d’un decreto-legge, questo perde efficacia con effetto ex tunc. La medesima regola, pertanto, deve valere nel caso di conversione parziale o con modifiche: anche in questo caso il testo originario della norma introdotta dal decreto-legge, ma non convertita o convertita con modifiche, deve ritenersi caducato con effetto ex tunc nella parte in cui conteneva previsioni non reiterate.
Pertanto la Corte d’appello, ritenendo valido il recesso effettuato sulla base d’una norma contenuta in un decreto-legge e non confermata dalla legge di conversione, aveva violato i suddetti precetti.
1.2. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione in iure adottata dalla Corte d’appello debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.
1.3. Sulla questione dell’efficacia intertemporale di norme contenute in decreti-legge e modificate o soppresse dalla legge di conversione esistono molti contrasti in dottrina.
Secondo un primo e tradizionale orientamento dottrinario, per risolvere tale questione si dovrebbe distinguere tra emendamenti soppressivi e sostitutivi da un lato, ed emendamenti modificativi dall’altro.
Mentre, si sostiene, i primi travolgerebbero il decreto-legge con effetto ex tunc, i secondi hanno effetto solo ex tunc. Pertanto le norme contenute in un decreto-legge, e successivamente modificate dalla legge di conversione, continuano ad applicarsi ai fatti avvenuti sotto la loro vigenza temporale. Altri autori hanno contestato l’utilità della distinzione tra emendamenti soppressivi, modificativi e sostitutivi: sia per l’oggettiva difficoltà di distinguere tra “modifica” e “sostituzione” d’una norma; sia perché sul piano dogmatico sostituire una norma significa, per ciò solo, modificarla; e qualsiasi modifica normativa in altro non consiste che nel sopprimere il precedente precetto e sostituirlo con uno nuovo. Chi sostiene questa tesi conclude che la norma del decreto-legge “modificata”, “sostituita” o “soppressa” è, in ogni caso, una norma “non convertita”, e che pertanto perde efficacia ex tunc.
Un terzo orientamento dottrinario, infine, ritiene che l’emendamento al decreto-legge contenuto nella legge di conversione non costituisca che “normale esercizio della funzione legislativa”, e quindi non possa che avere efficacia ex nunc, anche quando abbia effetto soppressivo di norme contenute nel decreto.
1.4. Maggiore coerenza si registra invece nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha prevalentemente aderito al primo degli orientamenti sopra indicati. Così, in applicazione di esso, Sez. V, sentenza n. 8056 del 28 marzo 2008, Rv. 602648 ha ammesso l’effetto ex tunc dell’abrogazione d’una norma contenuta nel decreto-legge, disposta dalla legge di conversione.
Allo stesso modo, Sez. III, sentenza n. 11186 del 26 maggio 2005, Rv. 581930 (ricordata anche dalla ricorrente) ha ritenuto che l’effetto ex tunc degli emendamenti contenuti nella legge di conversione si produce se si tratta di emendamenti soppressivi o sostitutivi, ma non di emendamenti modificativi (così pure Sez. I, sentenza n. 3106 del 17 marzo 2000, Rv. 534842). E prima ancora (nel regime anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 23 agosto 1988, n. 400 sull’entrata in vigore dei decreti-legge), Sez. I, sentenza n. 3605 del 15 dicembre 1972, Rv. 361599 aveva ritenuto che la disposizione contenuta in un decreto-legge e sostituita od abrogata dalla legge di conversione perde efficacia ex tunc; nell’ipotesi, invece, di mera modificazione d’una disposizione del decreto-legge, si verifica la totale conversione del decreto stesso e la nuova norma acquista efficacia ex nunc (così anche Sez. I, sentenza n. 242 del 3 febbraio 1971, Rv. 349678).
1.5. Questo Collegio condivide l’orientamento appena ricordato, il quale resiste altresì alle critiche dottrinarie che gli sono state mosse.
Costituisce infatti un sofisma predicare l’indistinguibilità tra norme modificate e norme sostituite, distinzione che invece a livello astratto è limpida: nel primo caso (modifica) ci troveremmo al cospetto d’un decreto-legge contenente una fattispecie astratta alla quale la legge di conversione aggiunge o sottrae soltanto alcuni elementi costitutivi; nel secondo caso (sostituzione) ci troveremmo al cospetto d’una legge di conversione che continua a disciplinare la stessa fattispecie concreta già disciplinata da una norma contenuta nel decreto-legge, ma lo fa in modo totalmente diverso rispetto a quest’ultimo.
1.6. Si applichino ora i suddetti princìpi al caso di specie.
Il d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, art. 5, comma 4, nel testo pubblicato in G.U., recitava: “al comma 1, dell’art. 1899 del codice civile, il secondo periodo è sostituito dal seguente: In caso di durata poliennale, l’assicurato ha facoltà di recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di sessanta giorni”.
La legge di conversione del suddetto decreto, come accennato, aggiunse un periodo alla norma sopra trascritta, che assunse perciò la seguente forma: “All’art. 1899 c.c., comma 1, il secondo periodo è sostituito dal seguente: In caso di durata poliennale, l’assicurato ha facoltà di recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di sessanta giorni. Tali disposizioni entrano in vigore per i contratti stipulati dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per i contratti stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la facoltà di cui al primo periodo può essere esercitata a condizione che il contratto di assicurazione sia stato in vita per almeno tre anni”.
È dunque evidente che la norma contenuta nel testo originario del decreto-legge consisteva in una fattispecie astratta così costituita:
(a) un “precetto” composto di due elementi, ovvero:
(a¢) la stipula d’una assicurazione pluriennale;
(a²) la comunicazione del recesso dell’assicurato con anticipo di 60 giorni sulla scadenza;
(b) una “sanzione” rappresentata dalla liceità del recesso dell’assicurato.
La legge di conversione ha lasciato immutata questa previsione, aggiungendo un terzo elemento alla fattispecie astratta: ovvero la “esistenza in vita” (sic) del contratto da almeno tre anni al momento del recesso dell’assicurato.
Dinanzi ad una norma che si è formata in questo modo, e che ha questo contenuto, deve trarsi la conclusione della legittimità del recesso della (Omissis)dai due contratti stipulati con la (Omissis), per due indipendenti ragioni.
1.7. La prima ragione è che la l. n. 40 del 2007 non ha né sostituito, né abrogato la previsione astratta di cui al d.l. n. 7 del 2007, art. 5, comma 4. L’ha semplicemente modificata, aggiungendo un terzo elemento (durata triennale del contratto) ai due che già componevano la fattispecie astratta introdotta dal decreto-legge.
Si è trattato dunque d’un emendamento modificativo, come tale avente efficacia ex nunc.
1.8. La seconda ragione è che la previsione di cui all’art. 77 Cost., comma 3, invocata dalla (Omissis), secondo cui i decreti non convertiti perdono efficacia ex tunc, trova applicazione solo quando il legislatore non ritenga di dettare norme di diritto transitorio ad hoc. Occorre dunque chiedersi se tali norme siano contenute nella l. n. 40 del 2007: ed a tale quesito deve darsi risposta affermativa.
Come accennato, infatti, il d.l. n. 7 del 2007, art. 5, comma 4, ultimo periodo, come modificato dalla legge di conversione, ha operato un distinguo tra contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, e contratti stipulati prima.
Per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, si è attribuita all’assicurato la facoltà di recedere liberamente dai contratti pluriennali, col solo obbligo del preavviso di 60 giorni.
Per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, la medesima facoltà è stata subordinata, oltre che al preavviso di 60 giorni, anche alla condizione che “il contratto di assicurazione sia stato in vita per almeno tre anni”.
Una previsione così costruita, quale che fosse l’intentio legislatoris, sul piano dell’intentio legis può avere un solo significato: ovvero la salvezza degli effetti dei recessi avvenuti nella vigenza del d.l. n. 7 del 2007.
Ed infatti:
(a) là dove stabilisce che il recesso è consentito, per i contratti stipulati prima della legge di conversione, quando la polizza abbia già avuto una durata almeno triennale, la legge presuppone che esista un contratto e che sia in corso, giacché non avrebbe senso accordare il diritto di recedere da… un contratto già risolto; da ciò consegue che la norma contenuta nella legge di conversione non riguarda e non si applica ai contratti già risolti;
(b) la norma introdotta dalla legge di conversione, in mancanza di qualsiasi diversa previsione, si applica dal momento della sua entrata in vigore, ovvero dal 3 aprile 2007. Essa, infatti, nulla stabilisce per i recessi già perfezionatisi prima della sua entrata in vigore: si limita a stabilire che, d’ora innanzi, il recesso dell’assicurato è consentito solo se il contratto sia stato stipulato da almeno tre anni.
Da ciò consegue che il d.l. n. 7 del 2007, art. 5, comma 4, secondo periodo, come introdotto dalla l. n. 40 del 2007, costituisce un regolamento implicito dei recessi avvenuti sotto la vigenza del d.l. n. 7 del 2007, e prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, distinguendo tre ipotesi:
(a) contratti stipulati prima della l. n. 40 del 2007, e per i quali era già avvenuto il recesso dell’assicurato ai sensi dell’art. 7/07: per tali contratti il legislatore nulla ha formalmente disposto, implicitamente ammettendo la validità del recesso;
(b) contratti stipulati prima della l. n. 40 del 2007, ed ancora vigenti; per tali contratti il legislatore ha accordato la facoltà di recesso all’assicurato con il limite del decorso del triennio dalla stipula del contratto;
(c) contratti stipulati dopo la l. n. 40 del 2007, per i quali vi è piena facoltà di recesso dell’assicurato solo obbligo di preavviso di 60 giorni.
Resta solo da aggiungere che qualsiasi diversa interpretazione porrebbe seri problemi di legittimità costituzionale, quanto meno sul piano della ragionevolezza(principio, come noto, desumibile dall’art. 3 Cost.), giacché esporrebbe il cittadinoal rischio di conseguenze patrimonialmente svantaggiose non in conseguenza di propriescelte illegittime od illecite, ma in conseguenza dei tentennamenti o, peggio, dellairresolutezza nomopoietica del legislatore: esito interpretativo che, come icasticamentee correttamente rilevato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni in pubblica udienza, trasformerebbe quest’ultimo nel Leviatano di Thomas Hobbes.
Il ricorso deve dunque essere rigettato sulla base del seguente principio di diritto:
È valido ed efficace il recesso dell’assicurato da un contratto di assicurazione pluriennale, avvenuto ai sensi del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, art. 5, comma 4, e perfezionatosi prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge di conversione.
2.Il ricorso incidentale condizionato.
2.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la (Omissis)lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso che il credito dell’assicuratore fosse prescritto.
Il motivo resta ovviamente assorbito dal rigetto del ricorso principale.
3.Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
(-) rigetta il ricorso principale;
(-) dichiara assorbito il ricorso incidentale;
(-) condanna (Omissis)S.p.A. alla rifusione in favore di (Omissis)s.r.l. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie d.m. 10 marzo 2014, n. 55, exart. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal d.P.R.30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (Omissis)S.p.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione. (Omissis).
(1) Nota
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1. Fatto e svolgimento del processo - 2. Motivazione: sull'efficacia intertemporale della conversione con emendamenti - 3. Applicazione del principio al caso di specie - 4. La facoltà di recesso dal contratto di durata poliennale - 5. Conclusioni - NOTE
La Suprema Corte si è pronunciata, con la sentenza n. 9386/2016, in merito alla validità del recesso dell’assicurato da duecontratti di assicurazione perfezionatisi nella vigenza del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (c.d. “decreto Bersani bis”). La controversia che ha determinato l’intervento della Corte ha ad oggetto il recesso da parte della M.& Figli s.r.l. da due contratti di assicurazione di durata pluriennale, così come accordato dal d.l. 1° febbraio 2007, n. 7, recesso esercitato prima dell’entrata in vigore della legge di conversione (l. n. 40 del 2 aprile 2007). Il suddetto decreto consentiva il recesso ad nutum con preavviso di sessanta giorni. La legge di conversione modificava il decreto-legge stabilendo che il recesso dalle polizze pluriennali stipulate prima dell’entrata in vigore della stessa legge di conversione fosse consentito decorsi tre anni dalla stipula del contratto. In base a tali modifiche, la compagnia di assicurazioni, Generali Italia S.p.A., contestava la validità del recesso e pertanto chiedeva al Tribunale di Lodi la condanna della M. & Figli s.r.l. al pagamento delle rate di premi scadute. IlTribunale accordava il richiesto decreto ingiuntivo, a cui la M.& Figlisi opponeva. A seguito dell’opposizione al decreto ingiuntivo, il Tribunale revocava il decreto e rigettava la richiesta della compagnia assicurativa. Anche la Corte d’appello rigettava il gravame presentato dalla compagnia, dichiarando la validità del recesso della M. & Figli s.r.l. La sentenza d’appello veniva pertanto impugnata dalla Generali Italia S.p.A., con ricorso fondato su un unico motivo.
La Suprema Corte è chiamata a pronunciarsi in merito alla validità del recesso da due contratti di assicurazione, consentito da un decreto-legge, che modificava l’art. 1899 c.c. [1], successivamente convertito con emendamenti che richiedevano, ai fini dell’esercizio di tale facoltà per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, l’ulteriore requisito inerente all’esistenza in vita del contratto da almeno tre anni. La Corte di Cassazione si sofferma in primo luogo sul punto nodale del caso, attinente alla problematica di diritto transitorio che deriva dalla formulazione dell’art. 5 della legge di conversione, come di seguito meglio precisato. Dopo aver analizzato il percorso argomentativo della Corte nonché la sua soluzione al caso di specie, appare opportuno effettuare alcune riflessioni in merito alla disciplina del recesso dell’assicurato, così come modificata dalla l. 2 aprile 2007, n. 40. Come anticipato supra, alla luce delle modifiche intercorse a seguito della conversione del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, la questione principale che la Corte è chiamata a dirimere concerne essenzialmente l’efficacia intertemporale di emendamenti disposti in conversione di decreti-legge [2]. La Corte analizza in primis il tema sotto un profilo di diritto costituzionale e, successivamente, applica i princìpi generali di cui all’art. 5, comma 4,d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, così come modificato dalla leggedi conversione2 aprile 2007, n. 40. La tematicasi rivela particolarmente interessante giacché affronta un aspetto dell’interpretazione della legge strettamente collegato alla questione della certezza del diritto. Invero,il quesito a cui la Corte è chiamata a rispondere concerne la possibilità che il recesso, facoltizzato da un decreto-legge e già perfezionatosi, perda validità nell’ipotesi in cui le condizioni per poterlo esercitare mutino a seguito della conversione del decreto in legge. La questione è stata sollevata dalla compagnia di assicurazioni, la quale lamentava la violazione di legge ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., specificamente dell’art. 77, comma 3, Cost. e art. 5 della legge 2 aprile 2007, n. 40. Si ricorda che l’art. 77, comma 3, Cost. stabilisce la perdita di efficacia sin dall’inizio dei [continua ..]
Con riferimento agli emendamenti al d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, operati dalla legge di conversione, la Corte evidenzia come la disposizione originaria prevedesse la comunicazione del recesso da parte dell’assicurato, in ipotesi di contratto di assicurazione di durata pluriennale, con un anticipo di 60 giorni sulla scadenza. La legge di conversione si sarebbe limitata ad aggiungere la condizione, valida esclusivamente per i contratti stipulati anteriormente alla legge di conversione,che essi fossero in vita da almeno tre anni al momento del recesso dell’assicurato. La nuova formulazione della disposizione contenuta nella legge di conversione è stata pertanto interpretata dalla Corte di Cassazione come un emendamento modificativo, avente dunque efficacia ex nunc, posto che la nuova disciplina ha lasciato invariata la formulazione precedente, aggiungendo un elemento ulteriore consistente nella durata triennale del contratto quale condizione di liceità del recesso. Parimenti, le argomentazioni sollevate dal ricorrente in merito alla violazione dell’art. 77, comma 3, Cost. non sarebbero meritevoli di accoglimento, poiché, secondo la Cassazione, la previsione inerente la perdita di efficacia sin dall’inizio si applicherebbe in assenza di norme di diritto transitorio dettate appositamente dal legislatore, norme che, nella legge di conversione in esame, sarebbero state dallo stesso dettate. Più precisamente, la legge di conversione distingue tra contratti stipulati prima e dopo l’entrata in vigore della legge di conversione. Tuttavia, la legge di conversionetace in merito ai contratti il cui vincolo si è sciolto prima della sua entrata in vigore. La Cassazione interpreta tale silenzio come la volontà del legislatore difare salvi i recessi avvenuti nella vigenza del decreto-legge, invero sarebbe illogico attribuire la facoltà di recedere da un contratto il cui recesso si sarebbe già perfezionato. Con riferimento al caso di specie, si ricorda che i due contratti di assicurazione di durata pluriennale sono stati stipulati nel 2005, la facoltà di recesso è stata dunque esercitata decorsi due anni dalla stipulazione dei contratti. Poiché tale facoltà è stata esercitata dall’assicurata in data 16 marzo 2007 e dunque il vincolo contrattuale si sarebbe sciolto oltre due settimane prima dell’entrata in [continua ..]
Dopo aver esposto le argomentazioni della Corte di Cassazione, risulta utile in tale sede effettuare alcune osservazioni in merito alla durata poliennale delle polizze di assicurazione nonché al relativo diritto di recesso di cui all’art. 1899 c.c. Nello specifico, il secondo periodo del primo comma della norma è stato sostituito dal secondo e terzo periodo attualmente vigenti, che riproducono la modificazione della norma introdotta dall’art. 21, comma 3, l. n. 99/2009, intitolata “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” [32]. Si osservi che ilcomma 4 del suddetto art. 21 stabilisce che “Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. La normativa attuale prevede dunque che la copertura assicurativa possa avere durata poliennale a fronte di una riduzione del premio rispetto alla stessa copertura prevista per il contratto annuale. Se il contratto supera i cinque anni, l’assicurato, trascorso il quinquennio, ha facoltà di recedere dal contratto con preavviso di sessanta giorni e con effetto dalla fine dell’annualità nel corso della quale la facoltà di recesso è stata esercitata. Tale disposizione era stata già soggetta a mutamenti dal d.l. n. 7/2007, entrato in vigore il 1° febbraio 2007, il decreto Bersani, che introduceva la facoltà per l’assicurato di recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di sessanta giorni, convertito con modifiche dalla l. 2 aprile 2007, n. 40. La legge di conversione aggiungeva il seguente periodo alla formulazione originaria dell’art. 5: “Tali disposizioni entrano in vigore per i contratti stipulati dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per i contratti stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la facoltà̀ di cui al primo periodo può̀ essere esercitata a condizione che il contratto di assicurazione sia stato in vita per almeno tre anni”. L’obiettivo di tale disciplina, ravvisabile dalla stessa rubrica dell’art. 5, consisteva nel favorire la concorrenza e la tutela del consumatore nel campo dei servizi assicurativi.La disciplina trova infatti giustificazione nella [continua ..]
Con la sentenza n. 9386/2016, la Cassazione ha ridato slancio a una questione non del tutto risolta, per la quale sussistono tuttora orientamenti difformi. Dopo una breve analisi dei contrasti esistenti in merito all’efficacia intertemporale delle norme contenute nei decreti-legge modificate o soppresse da leggi di conversione, la Corte ha chiarito la propria posizione sul punto. Essa ha successivamente applicato i princìpi generali, definiti in base all’interpretazione supportata, al fine di verificare a quale tipologia di emendamento fosse riconducibile il dettato di cui all’art. 5, comma 4, d.l. 31 febbraio 2007 così come mutuato dalla legge di conversione e concludendo per la qualificazione dello stesso come emendamento modificativo, avente dunque efficacia ex nunc. In tal modo, la Cassazione ha fornito una risposta chiara a un quesito di non scarso interesse, stabilendo la validità del recesso avvenuto ai sensi del decreto Bersani e perfezionatosi prima della legge di conversione, mediante un’interpretazione analogica ed equitativa dell’emendamento al decreto-legge e alla luce dei princìpicostituzionali. Tale pronuncia rappresenta dunque un valido contributo idoneo ad apportare maggiore chiarezzasul tema, fermo restando che l’introduzione di tale facoltà di recesso solleva tutt’ora alcune perplessità sia sull’effettivo vantaggio concorrenziale che la stessa apporterebbe, sia sul piano ermeneutico.