Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Danno morale degli aventi diritto per evento mortale. Residenza della vittima (Cass. 7 ottobre 2016, n. 20206) (di Giorgiomaria Losco)


La determinazione del danno deve essere effettuata soltanto sulla base del genere e del contenuto specifico del legame che univa le persone perdute alle persone rimaste (ovvero, in relazione alla perdita di comunione di vita e di affetti nonché della integrità familiare), nell’ambito, allo stato del diritto vivente, dei canoni uniformanti rappresentati dalle tabelle del Tribunale di Milano, salve naturalmente le eventuali esigenze di peculiare personalizzazione (Massima non ufficiale) (1).

La Corte ecc. (Omissis).

FATTO

1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 15 febbraio-1° marzo 2012, a seguito di appello principale proposto da Fondiaria SAI S.p.A. e di appello incidentale proposto da C.M., T.F. e Se.Kh., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori, avverso la sentenza del Tribunale di Foggia, Sezione distaccata di Manfredonia, del 2 ottobre 2006 –, riguardante un sinistro stradale in cui erano de­ceduti i coniugi e padri degli appellanti incidentali quali terzi trasportati in uno dei due veicoli coinvolti – accoglieva l’appello principale laddove lamentava il mancato adeguamento (in senso qui diminutivo) del risarcimento al luogo dove vivevano i danneggiati (nella causa in esame, in Senegal) e accoglieva l’appello incidentale per mancata applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano nella determinazione del danno da perdita di congiunto, cosi rideterminando il quantum di tale danno e disponendo la devalutazione della somma dal sinistro e il calcolo degli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno fino alla pronuncia di pri­mo grado. 2. Hanno presentato ricorso C.M., in proprio e per il figlio minore T.E.A., le sue figlie frattanto divenute maggiorenni T.A. e T.K., T.F. e i figli frattanto divenuti maggiorenni S.A. e S.P.M., Se.Ya., in proprio e per la figlia minore Sa.Se., e la figlia frattanto divenuta maggiorenne Se.Ya., Se.Kh. in proprio e per le figlie minori Se.Ya. e Se.Ou.Kh., sulla base di due motivi: il primo denuncia violazione dell’art. 3 Cost., violazione e falsa applicazione degli artt. 125-126 d.lgs. 209/2005 nonché violazione dell’art. 61 l. 218/1995, per avere il giudice d’appello commisurato al luogo di residenza dei danneggiati l’entità del risarcimento; il secondo motivo denuncia omessa o insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere il giudice d’appello devalutato il quantum del danno a partire dal sinistro, disponendo poi il calcolo degli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno fino alla pronuncia di primo grado. Si difende con controricorso Fondiaria SAI S.p.A., che chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato. Si difende con controricorso anche Allianz S.p.A., come compagnia designata per il FGVS, che richiede il rigetto del ricorso. Sia i ricorrenti, sia Allianz S.p.A. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

DIRITTO

Il primo motivo del ricorso è fondato.

3.1. Nell’impugnata sentenza la Corte territoriale ha accolto il terzo motivo dell’appello principale, per cui la liquidazione del danno avrebbe dovuto tener conto del Paese di residenza dei danneggiati, cioè il […], ove il valore dell’euro sarebbe stato superiore che in Italia, per cui i danneggiati avrebbero ricevuto un risarcimento superiore a quello che sarebbe stato loro concesso se in Italia fossero stati residenti. La Corte si è fondata sull’insegnamento di Cass., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1637, massimata come segue: “Nella determinazione equitativa del danno morale può tenersi conto anche della realtà socio-economica in cui vive il danneggiato al fine di adeguare a tale realtà l’importo che si ritiene dovuto ai fini riparatori del danno. Ciò però presuppone la definizione di una somma di denaro assunta come equa per la riparazione del danno in base al potere di acquisto medio e la successiva operazione di valutazione di corrispondenza di tale importo al particolare potere di acquisto del denaro nella zona in cui esso è presumibilmente destinato ad essere speso. Consegue che il giudice di merito, il quale nella valutazione equitativa del danno morale abbia fatto riferimento al contesto socio-economico dell’area territoriale in cui vive il danneggiato come fattore giustificativo della determinazione del danno, è tenuto a dare puntuale conto dell’incidenza del potere di acquisto nella zona indicata sulla base di parametri numericamente accettabili, quali gli indici del costo della vita nelle varie aree del territorio nazionale”. Il giudice d’appello ha ritenuto che si tratti di un indirizzo giurisprudenziale preferibile ad altra giurispruden­za richiamata, peraltro di merito, per cui l’adeguamento del risarcimento al contesto socio-economico dove vive il danneggiato ha funzione compensativo-satisfattiva, e non risarcitoria, e deve altresì tenersi conto della possibilità che il danneggiato sposti la sua residenza. Sarebbe infatti – osserva la Corte territoriale – “assai improbabile che i cittadini senegalesi che hanno agito nel presente giudizio siano in grado di scegliere un diverso luogo di residenza rispetto a quello attuale, nel prossimo futuro” e il differente potere d’acquisto non può pertanto non incidere sulla determinazione del quantum risarcitorio.

3.2. La pronuncia del 2000 cui si rifà la Corte territoriale, peraltro, non esaminava un caso riguardante danneggiati stranieri, bensì una fattispecie in cui il giudice di secondo grado – la Corte de L’Aquila – aveva confermato il quantum di un danno morale da perdita di congiunto, in sostanza, per il mero fatto che le persone danneggiate risiedevano nella provincia di Chieti, sostenendo che il pretium doloris “assume sempre connotazioni economiche, per cui va ragguagliato alla realtà socio-economica in cui vivono le danneggiate”. Essendo stato quindi presentato ricorso lamentando che la liquidazione del danno morale era inadeguata, in quanto deve escludersi ogni riferimento a localizzazioni geografiche, questa Suprema Corte ha preso le mosse proprio dall’affermazione che “non è errato ritenere che, nella determinazione equitativa della somma volta al risarcimento del danno morale subiettivo, debba tenersi conto anche delle realtà socio-economiche in cui vive il danneggiato”. Dato atto che il risarcimento ha “funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto illecito” (rilievo finalizzato a escluderne l’ov­via assenza di natura sanzionatoria), prosegue dunque il giudice di legittimità osservando che, “se l’entità delle soddisfazioni compensative ritraibili dalla disponibilità di una somma di denaro è diversa a seconda dell’area nella quale il denaro è destinato ad essere speso, non l’entità delle soddisfazioni deve variare, ma la quantità di denaro necessario a procurarle. Tale condizionamento, per così dire, valutario non ha ostato, però, nel caso di specie, alla cassazione della sentenza d’appello, sulla base del­l’ulteriore argomentazione che, per aumentare o diminuire in correlazione alle parti­colari condizioni socio-economiche dell’area geografica dove vive il danneggiato, oc­corre comunque, quale presupposto, la determinazione di un valore monetario su cui operare tali adeguamenti, nel caso assente.

3.3. Quando fu pronunciata la sentenza in questa sede impugnata, non vi era stato alcun altro arresto di legittimità concernente la questione in esame. Poco dopo il deposito della sentenza (16 marzo 2012) vi ritornò la sentenza n. 7932 del 18 maggio 2012, ancora di questa Sezione III Civile. In un caso in cui il danneggiato non era italiano bensì rumeno, fu chiaramente esclusa ogni incidenza sul quantum del danno non patrimoniale della residenza del danneggiato. Ciò sulla base del fatto che l’illecito aquiliano si compone di tre elementi essenziali – condotta illecita (dolosa o colposa), danno e nesso causale tra essi – le cui circostanze soltanto possono incidere sulla aestimatio del danno, “mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito, un posterius, come ta­le ininfluente sulla misura del risarcimento del danno” (così l’appena citata sentenza, in motivazione).

Più recentemente, Cass., Sez. III, 13 novembre 2014, n. 24201, a proposito di un risarcimento ai congiunti di un tunisino deceduto in Italia per il danno morale da perdita, ha riesaminato la questione, raffrontando l’arresto del 2000 con quello del 2012, e manifestando adesione a quest’ultimo, a cui favore ha aggiunto due ulteriori elementi di sostegno: da un lato, l’obbligo di non discriminare gli stranieri racchiuso nell’art. 3 Cost. (al riguardo richiamando le sentenze nn. 252/2001 e 106/2008 della Corte Costituzionale); e, dall’altro, la necessità di una certezza risarcitoria nel senso della uniformità, emersa soprattutto dalla nota pronuncia che ha individuato la relativa concretizzazione dell’equità nelle tabelle di Milano (Cass. Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408).

3.4. Non vi è alcun motivo per riesumare la posizione assunta nell’ormai risalente pronuncia del 2000, la quale non ha trovato, come si è appena visto, alcuna sequela nella giurisprudenza successiva di questa Suprema Corte. Fondamentale risulta il rilievo, operato dalla sentenza del 2012, che la condizione socio-economica del danneggiato è un elemento esterno rispetto all’illecito aquiliano. È infatti un posterius rispetto a tale illecito l’utilizzazione del risarcimento, e dunque il valore di que­st’ultimo non è determinabile ai fini della sua utilizzazione, bensì in relazione alle intrinseche caratteristiche del danno rispetto al quale è diretto a restaurare la sfera giuridica della persona lesa. Né, d’altronde, potrebbe opporsi che per determinare il danno morale da perdita di congiunto si valutano comunque circostanze esterne al fatto illecito, cioè il tipo di legame e la sua concreta conformazione che avvinceva al defunto il danneggiato. È agevole infatti rilevare perché il danno da perdita del congiunto deve essere commisurato al valore che la persona perduta aveva rispetto al danneggiato, e non alle conseguenze economiche del risarcimento che il danneggiato ne ritrarrà. Si tratta, invero, di un danno non patrimoniale, rispetto al quale, on­tologicamente, un risarcimento patrimoniale è sempre una fictio, non idonea a restituire/compensare, bensì soltanto ad attestare nell’unica modalità giuridicamente pos­sibile il valore della persona perduta. E il valore di ogni persona è intrinseco alla sua umanità, per cui non può subire alcuna deminutio in base ad elementi che su tale umanità non incidono: tale d’altronde è la ratio del principio costituzionale di uguaglianza condivisibilmente richiamato dall’arresto del 2014. Dismettendo proprio nel­l’incipit della legge fondamentale le discriminazioni – id est, le distinzioni giuridicamente illogiche – che pesantemente intridevano in precedenza le strutture normative (sesso, razza, religione, posizione personale e sociopolitica), il legislatore costituzionale ovviamente inibisce una liquidazione risarcitoria come quella adottata nella impugnata sentenza, per cui alla persona in sé si impone come parametro per il risarcimento per equivalente della sua perdita il valore della moneta con cui viene concretizzato nel luogo dove risiede chi tale perdita ha subìto. Anche a prescindere, quindi, dai noti canoni del diritto internazionale e sovranazionale inibitori delle discriminazioni perché attinenti al valore umano (v. per tutti, sempre in un caso di dan­no non patrimoniale dei congiunti per perdita di marito e padre, Cass., Sez. III, 17 aprile 2013, n. 9231), l’impostazione “valutaria” del risarcimento del danno sposata dalla Corte territoriale risulta radicalmente illegittima. La determinazione del danno, nel caso di specie, dovrà essere effettuata soltanto sulla base, come già sopra si è accennato, del genere e del contenuto specifico del legame che univa le persone perdute alle persone rimaste (ovvero, in relazione alla perdita di comunione di vita e di affetti nonché della integrità familiare: v., p.es., Cass., Sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107 e l’assai recente Cass., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992), nell’ambito, allo stato del diritto vivente, dei canoni uniformanti rappresentati dalle tabelle del Tribu­nale di Milano, salve naturalmente le eventuali esigenze di peculiare personalizzazione. Il primo motivo del ricorso deve pertanto essere accolto, con conseguente logico assorbimento del secondo; la sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, cui si rimette anche quanto attiene alle spese del grado di legittimità. (Omissis).