Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Cass. 29 maggio 2018, n. 13394 (di Marco Rossetti, Consigliere della Corte Suprema di Cassazione.)


(Sez. III) –29 maggio 2018, n. 13394 – Pres.Vivaldi, Est. Spaziani – T. (avv. Massatani) c. C. (avv. Alberici).

(Sentenza impugnata: App. Venezia 1° aprile 2015)

Ass. obbligatoria autoveicoli –Pluralità di danneggiati dallo stesso sinistro –Onere dell’assicuratore di provocare le loro richieste risarcitorie –Sussistenza –Risarcimento di alcuni danneggiati – Incapienza del massimale – Opponibilità ai danneggiati non risarciti – Esclusione – Limiti – Facoltà dell’as­sicuratore di provare che quanto pagato era effettivamente dovuto – Sussistenza – Conseguenze – Fondamento.

In tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, qualora vi siano più persone danneggiate nello stesso sinistro, l’assicuratore deve provvedere, usando la normale diligenza, all’identificazione di tutti i danneggiati, attivandosi anche con la loro congiunta chiamata in causa, per procedere alla liquidazione del risarcimento nella misura proporzionalmente ridotta ai sensi dell’art. 27, comma 1, della l. n. 990 del 1969 (“ratione temporis” vigente); ove ciò non abbia fatto, non può opporre ai danneggiati non risarciti l’incapienza del massimale, ma deve rispondere fino alla concorrenza dell’ammon­tare del medesimo nei confronti di ciascun danneggiato. Tuttavia il risarcimento dovuto ai danneggiati pretermessi, in caso di massimale incapiente, non potrà essere integrale, ma dovrà essere pari a quello che, se fossero stati considerati ab initio, avrebbero percepito in applicazione della regola di ripartizione proporzionale del massimale tra i vari danneggiati, di cui all’art. 27 l. 24 dicembre 1969, n. 990 (1).

(1) Sulla prima parte della massima si vedano, in senso conforme, Cass. civ., Sez. III, 11 marzo 2016, n. 4765, in questa Rivista, 2016, II, 533; Cass. civ., Sez. III, 20 aprile 2007, n. 9510, in Arch. circolaz., 2007, 1164.

E converso, ovviamente, se l’assicuratore abbia ignorato incolpevolmente che nel sinistro stradale siano rimaste danneggiate più persone ed abbia integralmente risarcito taluno di loro, il rischio di incapienza del massimale per il risarcimento spettante agli altri non ricade su di lui, bensì sui danneggiati insoddisfatti, i quali possono agire nei confronti di coloro che siano stati soddisfatti per il recupero della somma che sarebbe stata loro proporzionalmente dovuta (Cass. civ., Sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1527, in questa Rivista, 2010, II, 2, Mass. n. 8). Va ricordato, infine, che secondo Cass. civ., Sez. III, 28 luglio 2004, n. 14248, in Arch. giur. circolaz., 2005, 130,la regola della riduzione proporzionale dei diritti dei danneggiati nel caso di in capienza del massimale non si applica alle maggiori somme dovute per l’accumulo degli interessi, della svalutazione monetaria e delle spese processuali imputabile al ritardo dell’assicuratore e perciò dipendente, ai sensi dell’art. 1224 c.c., da una autonoma causa di debito dell’assicuratore verso i danneggiati del tutto svincolata dalla limitazione costituita dal massimale di polizza. Da ciò la conseguenza che la riduzione proporzionale “non opera ove risulti accertato che il massimale sarebbe stato sufficiente, senza il ritardo dell’assicuratore, a soddisfare i concorrenti crediti dei danneggiati, mentre, ove il massimale sarebbe stato comunque insufficiente, essa opera solo per le somme originariamente dovute.Circa i concreti criteri di calcolo della riduzione proporzionale, sia consentito il rinvio a M. ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, vol. III,Padova 2013, ***.

 

La Corte ecc. (Omissis).

FATTI DI CAUSA

Nel 2007, C.T., in proprio e quale procuratrice speciale dei fratelli Al., A., F., M.F., S., C., P., M. e G., convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, M.E.R. e la SocietàCattolica di Assicurazioni s.c.a.r.I., chiedendone la condanna solidaleal risarcimento dei danni patiti iure proprio iure hereditatis a seguitodell’incidente stradale del 29 dicembre 1999, in occasione del qualel’autocarro condotto dal primo e assicurato con la seconda avevainvestito il fratello F:T., provocandone la morte.Nella contumacia del responsabile, si costituì in giudizio laSocietà Cattolica di Assicurazioni, la quale, sul presupposto di avergià indennizzato altri danneggiati che avevano instaurato un separatogiudizio (precisamente, la moglie e i tre figli della vittima, i qualiavevano formulato le loro richieste risarcitorie dinanzi al Tribunale diBrindisi), invocò il rigetto della domanda per incapienza delmassimale e, in subordine, l’applicazione del criterio di riduzioneproporzionale del risarcimento tra gli aventi diritto.All’esito dell’istruttoria, il Tribunale, ritenuta la mala gestioimpropria della società assicurativa per violazione del principio dellapar condicio tra i danneggiati di cui all’art. 27, comma 1, I. n.990 del 1969 e operata la riduzione proporzionale del risarcimento tratutti gli aventi diritto, accolse parzialmente la domanda, condannandoi convenuti, in solido tra loro, al pagamento, in favore degli attori,della somma di euro 66.660,90 (euro 6.666,09 per ciascundanneggiato), nonché il solo M.E.R. al pagamentodell’ulteriore somma di euro 47.899,90.La Corte d’appello di Venezia – adita con impugnazione principaleda C.T. e con impugnazione incidentale dalla SocietàCattolica di Assicurazioni – ha parzialmente accolto soltanto laseconda, riducendo il risarcimento complessivamente dovuto dallacompagnia assicurativa alla somma di euro 34.306,24 (euro 3.430,62per ciascun avente diritto).Per quanto ancora interessa, la Corte territoriale ha deciso sullabase dei seguenti rilievi:

– il motivo di appello incidentale con cui la società avevacontestato il giudizio del primo giudice circa la sussistenza della malagestioimpropria doveva essere respinto, atteso che, nella fattispecie,era effettivamente configurabile la violazione, da parte sua, delprincipio della par condiciodei danneggiati di cui all’art. 27, comma 1, l. n. 990 del 1969: i fratelli T., infatti, già in data 18agosto 2001, le avevano inviato una formale richiesta di risarcimentodel danno ma essa aveva omesso di estendere loro il giudizioinstaurato dagli altri parenti della vittima presso il Tribunale diBrindisi al fine di consentire l’esame congiunto delle diverse preteserisarcitorie in funzione della liquidazione unitaria del danno; inragione della mala gestiola società non poteva quindi opporre aidanneggiati pretermessi l’incapienza del massimale;

– ciò posto, doveva peraltro anche rigettarsi il correlativo motivo diappello principale con cui gli attori avevano censurato l’applicazionedel principio della riduzione proporzionale del risarcimento effettuatadal primo giudice: l’accertamento della mala gestio, infatti, noncomportava l’automatica responsabilità ultra–massi maledell’assicuratrice verso i danneggiati pretermessi, dovendosiriconoscere alla società la possibilità di provare, al fine di beneficiaredella riduzione proporzionale del risarcimento, che le sommecorrisposte ai danneggiati precedentemente soddisfatti fosseroeffettivamente dovute; poiché tale dimostrazione era stata fornita(non potendosi dubitare della sussistenza del diritto al risarcimento incapo ai più stretti familiari della vittima, tra l’altro accertato consentenza del Tribunale di Brindisi), il debito dell’assicuratrice verso iT. doveva essere proporzionalmente ridotto nei limiti dellaquota di indennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio,sarebbe spettata ai danneggiati precedentemente soddisfatti;

– confermata la correttezza della decisione del Tribunale di operareuna proporzionale riduzione degli importi dovuti ai Fratelli T.nonostante l’accertata mala gestio, doveva poi, in accoglimento delsecondo motivo di appello incidentale proposto dall’assicuratrice,procedersi ad una rideterminazione in diminuzione delle sommedovute, avuto riguardo alla circostanza che il primo giudice non avevatenuto conto, nel computo, degli importi liquidati dal Tribunale diBrindisi alla moglie e ai figli della vittima a titolo di provvisionale,nonché degli importi corrisposti dalla compagnia assicurativa inseguito a transazioni concluse con altri soggetti che avevano riportatodanni in seguito al fatto dannoso imputabile all’esclusivaresponsabilità di M.E.R.;

– andava infine rigettato l’ulteriore motivo di impugnazioneprincipale con cui gli attori avevano lamentato la mancataapplicazione delle Tabelle di Milano, atteso che, a prescindere dalletabelle utilizzate, la liquidazione del danno non patrimoniale operatadal primo giudice doveva ritenersi congrua, avuto riguardo all’etàdella vittima, che aveva da tempo costituito una propria famiglia, ealla stessa lontananza dei fratelli, che vivevano in altre regioni eusavano frequentare il proprio congiunto solo durante brevi periodinelle vacanze estive.Propone ricorso per cassazione C.T., in proprio equale procuratrice speciale dei fratelli, affidandosi a due, articolatimotivi di censura.Risponde con controricorso la Società Cattolica di Assicurazioni.L’intimato M.E.R. non svolge difese.Le parti non hanno depositato memorie per l’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione,censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 27, comma 2,della I. n. 990/1969».I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, dopo averconfermato il giudizio sulla sussistenza della mala gestio della societàassicurativa per violazione del principio della par condicio deidanneggiati, non ne abbia tratto le consequenziali implicazioni inordine alla responsabilità ultra-massimale della stessa.Deducono che, ai sensi dell’art. 27 della l. n. 990 del 1969,nell’ipotesi di pluralità di danneggiati, ove l’assi­curatore,colpevolmente pretermettendo alcuni di essi, abbia pagato agli altriuna somma superiore alla quota spettante a ciascuno, non puòopporre ai danneggiati pretermessi che il massimale si è esaurito acausa dei precedenti pagamenti ma risponde nei loro confronti fino aconcorrenza della somma assicurata. Evidenziano che la Corte d’appello, per un verso, aveva correttamente enunciato tale principio,e, per l’altro, aveva accertato che effettivamente, nella fattispecie, lasocietà assicurativa si era indebitamente determinata a soddisfarealcuni aventi diritto, all’esito di transazioni e di pronunzie giudiziali,pur avendo avuto formale conoscenza della richiesta risarcitoriaavanzata dai fratelli T. e senza provvedere, come inveceavrebbe dovuto, ad estendere loro il giudizio risarcitorio introdottodagli altri danneggiati, al fine di provocare l’esame congiunto dellediverse domande. Nonostante ciò –affermano – la Corte territorialeè poi pervenuta a conclusioni incoerenti con tali premesse in quanto,anziché riconoscere la responsabilità della società assicurativa fino aconcorrenza del massimale nei confronti dei danneggiati nonsoddisfatti, ha indebitamente proceduto alla riduzione proporzionaledel risarcimento tra gli stessi, tra l’altro rideterminando indiminuzione le somme già liquidate dal Tribunale.Con specifica censura i ricorrenti lamentano, inoltre, che nelprocedere alla proporzionale riduzione del risarcimento, il giudice delmerito abbia tenuto conto della somma complessiva erogata in favoredegli aventi diritto precedentemente soddisfatti, senza considerareche, ove fosse stato rispettato il principio della par condicio, questiultimi avrebbero avuto importi inferiori e il risarcimento per quotaloro spettante sarebbe risultato più elevato.

1.1. Il motivo è infondato.L’art. 27, comma 1, della l. 24 dicembre 1969, n. 990 –oggi non più in vigore in quanto sostituito dall’art. 140 d.lgs. 7settembre 2005, n. 209, ma applicabile ratione temporis allafattispecie in esame – prevede che in caso di pluralità di personedanneggiate nello stesso sinistro, qualora il risarcimento dovuto dalresponsabile superi le somme assicurate, i diritti delle personedanneggiate nei confronti dell’assicuratore sono proporzionalmenteridotti fino alla concorrenza delle somme assicurate.Come questa Corte ha reiteratamente affermato, l’onere di creare ipresupposti della par condicio degli aventi diritto, in funzionedell’applica­zione della regola della riduzione proporzionale delrisarcimento, spetta all’assicu­ratore, il quale deve consentire a tutti diconcorrere alla ripartizione del massimale in proporzione del dannosubìto da ciascuno.A tal uopo, l’assicuratore, usando l’ordinaria diligenza, deveprovvedere all’identificazione di tutti i danneggiati, provocare lerichieste risarcitorie da parte loro, liquidare ognuno di loro conl’accordo di tutti e, nell’ipotesi in cui taluno di essi abbia agitogiudizialmente, estendere il giudizio mediante chiamata in causa deglialtri, al fine di consentire la congiunta disamina delle preteserisarcitorie. Ove ciò non abbia fatto, l’assicuratore, una voltaconvenuto in giudizio da uno o da taluni dei danneggiati, non puòopporre l’inca­pienza del massimale per aver già risarcito gli altri madeve rispondere fino alla concorrenza dell’ammontare del medesimonei confronti di ciascun danneggiato (Cass. 19 luglio 2004, n. 13335;Cass. 20 aprile 2007, n. 9510; Cass.11 marzo 2016, n. 4765).Salva l’ipotesi dell’incolpevole ignoranza della pluralità deidanneggiati da parte dell’assicuratore (la cui responsabilità vienemeno ove, decorsi trenta giorni dall’incidente, abbia pagato unasomma superiore alla quota spettante ad alcuna delle personedanneggiate ignorando l’esistenza delle altre pur avendone ricercatal’identificazione con l’ordinaria diligenza: art. 27, comma 2), ilsistema delineato dalla norma in esame addossa, dunque, all’impresadi assicurazione le conseguenze dell’incapienza del massimale nelcaso di pluralità di danneggiati, alcuni soltanto dei quali siano statirisarciti con atto non opponibile agli altri.Questa Corte ha peraltro anche chiarito che resta sempre salva lafacoltà dell’assicuratore che invochi la riduzione dell’indennizzo diprovare, nel giudizio promosso dal danneggiato non ancora risarcito,che quanto aveva pagato era effettivamente dovuto siccomecorrispondente al danno subìto dal danneggiato risarcito. Se questaprova abbia successo il suo debito verso il danneggiato non ancorarisarcito sarà proporzionalmente ridotto nei limiti della quota diindennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio, sarebbespettata al danneggiato precedentemente soddisfatto. E ciò perl’ovvia ragione che, se per un verso l’inosservanza da partedell’assicuratore della regola della par condicio creditorum non puòridondare in danno del danneggiato pretermesso, neppure èammissibile che, in ragione della violazione di quella regola, questiconsegua una somma superiore a quella che avrebbe percepito se laregola fosse stata rispettata (Cass. 19 luglio 2004, n. 13335, inmotivazione).

1.2.la Corte di appello ha fatto buongoverno degli illustratiprincìpi.In primo luogo, esclusa l’incolpevole ignoranza della pluralità deidanneggiati da parte della Cattolica Assicurazioni e accertato che, alcontrario, essa aveva proceduto al soddisfacimento di altri aventidiritto consapevolmente pretermettendo le richieste risarcitorie deifratelli T., la Corte territoriale ha correttamente affermato chel’esau­rimento del massimale non escludeva la perduranteresponsabilità della prima nei confronti dei secondi.In secondo luogo, in modo del tutto coerente, ritenuto che lasocietà assicurativa avesse fornito la dimostrazione che quantopagato era effettivamente dovuto siccome corrispondente al dannoeffettivamente subìto dai danneggiati precedentemente risarciti, haperaltro escluso che la responsabilità nei confronti dei creditoripretermessi si estendesse fino a concorrenza del massimale,procedendo, correttamente, a ridurre proporzionalmente il credito dicostoro al fine di evitare che essi potessero conseguire una sommasuperiore a quella che avrebbero percepito in caso di osservanza delprincipio di par condicio.In terzo luogo, nell’operare la riduzione proporzionale delrisarcimento tenendo debitamente conto anche delle somme nonconsiderate dal primo giudice (corrispondenti agli importi liquidati dalTribunale di Brindisi alla moglie e ai figli della vittima a titolo diprovvisionale, nonché agli importi corrisposti dalla compagniaassicurativa in seguito a transazioni concluse con altri soggetti cheavevano riportato danni in seguito al fatto dannoso imputabileall’esclusiva responsabilità di M.E.R.), la Corte dimerito ha correttamente scomputato, non già le somme effettivepercepite dai danneggiati precedentemente soddisfatti, bensì la quotadi indennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio, sarebbeloro spettata.

1.3.La rilevata conformità della statuizione del giudice di appelloai principi affermati da questa Corte esclude che possa configurarsi lalamentata violazione del­l’art. 27 della l. n. 990 del 1969 conconseguente necessità di rigettare l’esaminato motivo di ricorso percassazione.

2.Il secondo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione dinorme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2043,2056, 2059 e 1226 c.c.», nonché «invalidità della sentenza ai sensidell’art. 360 n. 4 c.p.c. ... in relazione all’art. 132 c.p.c. n. 4 e 156,secondo comma, c.p.c. per violazione e falsa applicazione della regulaiuris da applicare al caso concreto, ovvero degli artt. 115 e 116c.p.c.».I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere omesso difare applicazione, nella liquidazione del danno non patrimonialericonosciuto a ciascuno di essi, dei parametri contenuti nelle Tabelleelaborate dal Tribunale di Milano. Rammentano che la Corte diCassazione ha stabilito che, in sede di liquidazione del danno,l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c. devegarantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del casoconcreto, ma anche l’uni­formità di giudizio a fronte di casi analoghi, eche tale uniformità di trattamento è garantita dal riferimento alcriterio di liquidazione previsto nelle Tabelle milanesi cui deve quindiriconoscersi la valenza di parametro di conformità della valutazioneequitativa alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., con laconseguenza che l’ingiustificata applicazione di tabelle diverse puòessere fatta valere in sede di legittimità come vizio di violazione dilegge. Evidenziano che la doglianza circa la mancata applicazionedelle Tabelle di Milano era stata da loro già formulata nel giudizio diappello attraverso la predisposizione di uno specifico motivo digravame.Con un’ultima, specifica censura deducono infine la nullità dellasentenza per mancanza di motivazione, tale da integrare violazione dilegge costituzionalmente rilevante, per non avere la Corte territorialeadeguatamente spiegato le ragioni della disapplicazione delle predetteTabelle. Sotto tale specifico profilo, evidenziano che, anzichéprocedere, come sarebbe stato necessario, all’enunciazione dellecircostanze che giustificavano nel caso concreto il ricorso ad undifferente criterio liquidatorio, la Corte territoriale avrebbeindebitamente argomentato dalla rilevata lontananza tra la vittima e isuoi fratelli omettendo di considerare, da un lato, che la sussistenzadi un concreto e attuale rapporto affettivo tra i congiunti era statainvece dimostrata con prova testimoniale e, dall’altro, che, secondo ilconsolidato orientamento giurisprudenziale, il danno non patrimonialeda lesione del vincolo parentale si presume esistente in presenza diuna relazione di fratellanza tra la vittima e il superstite.

2.1.Il motivo è inammissibile.È necessario precisare che i ricorrenti, con l’illustrata ultimadoglianza, non hanno denunciato la violazione, da parte del giudicedel merito, del principio, recentemente ribadito da questa Corte,secondo cui l’esistenza stessa del rapporto di stretta parentelaconsente di presumere, in caso di uccisione di una persona, lasofferenza del familiare superstite e tale presunzione non è vinta conl’allegazione, da parte del danneggiante (cui spetta di dedurre eprovare circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legameaffettivo) della semplice lontananza o mancanza di convivenza tra icongiunti, le quali possono essere valutate soltanto ai fini delquantum debeautur (Cass.15 febbraio 2018, n. 3767); né taleprincipio è stato effettivamente violato dalla Corte territoriale, laquale ha tratto argomento dalla circostanza che i ricorrenti e lavittima vivessero in regioni diverse non per negare la sussistenza deldanno da lesione del vincolo parentale ma esclusivamente in funzionedella valutazione della congruità della liquidazione operata dal primogiudice.

2.2.La predetta doglianza, invece, si inserisce nella più generalecensura con la quale si lamenta la mancata applicazione delle TabelleMilanesi e l’omessa enunciazione di circostanze idonee a giustificarnel’abbbandono nel caso concreto, la quale, esaminata nella suacomplessità, deve essere dichiarata inammissibile.Al riguardo, infatti, deve trovare applicazione l’ormai consolidatoorientamento secondo cui, in tema di liquidazione del danno nonpatrimoniale e con riferimento ai criteri di cui alle Tabelle milanesi,che non costituiscono fatto notorio, non soddisfa l’onere diautosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., il ricorsoper cassazione che si limiti a riportare le somme pretese inapplicazione delle stesse, omettendo di indicarle specificamente tra idocumenti exart. 369, comma 2, c.p.c., e di individuare l’attocon il quale siano state prodotte nel giudizio di merito ed il luogo delprocesso in cui risultino reperibili; né è ammissibile la loro successivaproduzione exart. 372, comma 2, c.p.c., non trattandosi didocumenti relativi all’ammis­sibilità del ricorso (Cass. 31 ottobre 2017, n.25817; Cass. 15 giugno 2016, n. 12288).In altre parole, l’ammissibilità della censura avente ad oggettol’erronea o mancata applicazione dei parametri tabellari in sede diliquidazione del danno, presuppone non solo che la questione sia giàstata posta nel giudizio di merito, ma anche che il ricorrente abbiaversato in atti le Tabelle (Cass. 16 giugno 2016, n. 12397; Cass. 13novembre 2014, n. 24205).Tale duplice onere non risulta assolto nel caso di specie, in quantoi ricorrenti, se da un lato hanno evidenziato di aver già formulato ladoglianza nel giudizio di appello (procedendo alla trascrizione inricorso del relativo motivo di gravame), dall’altro lato – a fronte dellaspecifica controdeduzione contenuta nel controricorso, ove si allegache in primo grado era stata invocata l’applicazione delle Tabelle delTribunale di Verona – non hanno altresì dedotto di aver provveduto altempestivo deposito delle Tabelle milanesi nei gradi di merito,procedendo alla debita indicazione dell’atto con cui erano stateprodotte e del luogo del processo in cui risultino reperibili.Ne discende l’inammissibilità dell’esaminato motivo di ricorso.In definitiva, il ricorso per cassazione proposto da C.T., in proprio e quale procuratrice speciale dei propri fratelli, deve essere rigettato.

3.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza evengono liquidate come da dispositivo.

4. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per ilversamento, da parte della ricorrente, in proprio e nella qualità diprocuratrice speciale dei propri fratelli, dell’ulteriore importo a titolodi contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma delcomma 1-bis del citato art. 13. (Omissis).

Fascicolo 1 - 2019