(Sez. II) – 23 maggio 2019, n. 14107 (ord.) – Pres. San Giorgio, Est. Scarpa, P.M. Matera (conf.) – B. (avv. Calcaterra) c.D. (avv. Ciliberti).
(Sentenza impugnata: App. Milano8 luglio 2014)
Ass. responsabilità civile – Obbligo dell’assicuratore di pagare il legale dell’assicurato – Patto di gestione della lite – Natura – Effetti.
In presenza di un patto di gestione della lite connesso ad una assicurazione della responsabilità civile, vanno distinti il rapporto di patrocinio, in virtù del quale l’avv. è tenuto a svolgere le difese dell’assicurato, dal contratto di prestazione d’opera, che il medesimo avv. stipula direttamente con l’assicuratore. La duplicità di tali rapporti fa sì che l’obbligo di remunerare l’avv. grava pur sempre sull’assicuratore, a nulla rilevando che il mandato alle liti sia stato materialmente sottoscritto dall’assicurato (1).
(1) Il principio costituisce corollario di altri e più risalenti princìpi, da tempo consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
Il patto di gestione della lite, solitamente accessorio ad una polizza di assicurazione della responsabilità civile, costituisce un mandato (anche) in rem propria conferito dall’assicurato all’assicuratore (altri preferisce parlare di negozio misto, cui concorre la causa del mandato: così Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 1973, n. 1149, inedita; Cass. civ., Sez. III, 22 novembre 1974, n. 3790), in virtù del quale quest’ultimo acquista il potere di trattare col danneggiato, transigere la lite con lui, adempiere direttamente nelle sue mani (così già Cass. civ., Sez. III, 18 maggio 1963, n. 1281, in questa Rivista, 1964, II, 2, 7; Cass. civ., Sez. III, 8 settembre 1970, n. 1332, ivi, 1971, II, 2, 232).Il patto di gestione della lite è per sua natura irrevocabile, talché la revoca rimane senza effetto, salvo il ricorso di una giusta causa da provarsi dal mandante (così già Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 1963, n. 2817, in questa Rivista, 1963, II, 2, 178).Da ciò discende che l’assicuratore ha il diritto di pretendere dall’assicurato il conferimento di un mandato ad lites nei confronti di legale scelto dall’assicuratore stesso, nonché il dovere dell’assicurato di conferire tale mandato. L’inadempimento dell’assicurato a detto obbligo, con il conseguente esonero dell’assicuratore dal rimborso delle spese di difesa, tuttavia, non può ravvisarsi nella semplice circostanza che il primo abbia nominato un proprio difensore (nella specie, in via d’urgenza, a seguito di instaurarsi di procedimento penale), occorrendo indagare sul comportamento dell’assicuratore successivo alla comunicazione di tale nomina (nella specie, consistente nell’aver affiancato un proprio legale al difensore nominato dall’assicurato), al fine di stabilire se l’assicuratore medesimo abbia inteso far valere il patto di gestione della lite, ovvero preferito ratificare la nomina effettuata dall’assicurato, o comunque rinunciare ai diritti derivantigli dal patto. Quando si verifichino queste ultime ipotesi, l’assicuratore non può esimersi dall’Onere delle spese di difesa, secondo i criteri dettati dall’art. 1917, comma 3, c.c. ciò anche in caso di contraria clausola di polizza, stante l’invalidità della medesima, ai sensi dell’art. 1932 c.c., ove pregiudichi i diritti riconosciuti all’assicurato dal citato terzo comma dell’art. 1917 c.c.(Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 1976, n. 4276, in Giur. it., 1978, I, 1, 1978, I, 1, 620).Si ricordi che, secondo Cass. civ., Sez. III, 4 maggio 2018, n. 10595, inedita, l’assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:
(a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;
(b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
(c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato. Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato, e perciò l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.Le spese di resistenza non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore. Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917, comma 3, c.c. Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c., relative al rapporto processuale tra assicurato ed assicuratore.
La Corte ecc. (Omissis).
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
A.B. e M.B. propongono ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 3178/2014, resa dalla Corte d’appello di Milano il 19 agosto 2014.Resiste con controricorso G.D.F., che ha anchedepositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 1, c.p.c.Con ricorso ex art. 702 c.p.c., depositato il 6 aprile 2011,l’avv. G.D.F.convenne A. e M.B.dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la condanna alpagamento del credito professionale relativo alla difesa svoltanel processo civile di primo grado promosso dai familiari diR.C., deceduto a causa di un sinistro stradale, neiconfronti dei medesimi A. e M.B., nonché dellacompagnia assicuratrice Assicurazioni Generali S.p.A. IlTribunale di Milano, adito con la domanda risarcitoria daifamiliari di R.C., rigettò la stessa, con sentenza n.1030/2005, ritenendo l’esclusiva responsabilità del C.nellaverificazione dello scontro con l’autovettura condotta da M.B.e di proprietà di A.B. La Corte d’appello diMilano, con sentenza depositata il 16 gennaio 2012, in riformadella decisione di primo grado, ritenne non superata lapresunzione di pari responsabilità ex art. 2054, comma 2,c.c., condannando A. e M.B. a risarcire gli eredi diR.C., nonché a restituire all’appellante incidentaleFondiaria SAIil 50% della somma ricevuta in esecuzione dellasentenza di primo grado e la metà delle spese del giudizio diprimo grado, regolando conseguentemente le spese. Inparticolare, la Corte d’appello di Milano riliquidò le spese legalidel primo grado di giudizio in favore di M.B. e A.B.,riducendole da euro 12.064,89 ad euro 4.800,00 e ponendone acarico delle controparti la rifusione della sola metà, per euro2.400,00 complessivi e, dunque, per euro 1.200,00 ciascuno. Consentenza n. 4535 dell’8 marzo 2016 la Corte di Cassazione rigettòil ricorso avverso la sentenza d’appello proposto da A. e M.B. Nella specie, la sentenza n. 4535/2016 di questaCorte ritenne infondata altresì la censura in tema diregolamento e liquidazione delle spese di lite, chiarendo comela Corte d’appello, nel riformare la sentenza di primo grado,fosse tenuta a riliquidare anche le spese, tenendo conto deldiverso accertamento della responsabilità concorrente e nonesclusiva di R.C.Il Tribunale di Milano accolse la domanda ex art. 702 c.p.c.dell’avv. G.D.F.e condannò A. e M.B.a pagare all’attore la somma di euro 7.986,65, oltreinteressi, ritenendo “congrua e rispettosa della TariffaProfessionale la pretesa dell’attore, che, oltre all’attocostitutivo contenente domanda riconvenzionale, redigette,nell’interesse dei B., anche memorie istruttorie, e partecipòa più udienze (l’ultima nel febbraio 2001)”.M.B.e A.B. proposero appello, respinto dalla Corted’appello di Milano con sentenza n. 3178 dell’8 luglio 2014.Ad avviso dei giudici di secondo grado, avendo gli appellantiA. e M.B. affermato di non essere stati parti delcontratto di patrocinio con l’avv. D.F., incaricatoesclusivamente dalla compagnia Assicurazioni Generali S.p.A.,elementi in senso opposto dovevano trarsi: 1) dal rilascio daparte di M.B.e A.B. delle relative procure ad litem;2) dalla revoca da parte dei B., in data 10 luglio 2001, delmandato civilistico conferito all’avv. D.F.; 3) dalladivergenza delle posizioni e degli interessi della compagniaassicurativa e degli assicurati B., i quali proposero domandariconvenzionale; 4) dall’adozione di distinte statuizioni da partedel Tribunale di Milano per liquidare le spese in favore deiB. e della Assicurazioni Generali S.p.A. Sempre ad avvisodella Corte di Milano, era frutto di “mero errore materiale” ilfatto che la nota spese dell’avv. D.F., depositata“nell’interesse di Assicurazioni Generali”, riportasse alcuneattività in realtà svolte in favore dei B.; né rilevava che lacompagnia assicurativa avesse conferito l’incarico all’avv.D.F.in relazione al procedimento penale che vedevacoinvolti M.B.e A.B., essendo i compensi richiestidal professionista riferiti al successivo giudizio civile.Sprovvista di prova era invece rimasta la deduzione degliappellanti secondo cui i compensi per prestazioni professionalirichiesti risultavano già pagati dalla compagnia assicurativa.Gli appellanti avevano altresì lamentato, in ordine al quantumdel compenso riconosciuto all’avv. D.F., come questisi fosse limitato a “demandare” al riguardo alla metà di quantoliquidato nella sentenza del Tribunale di Milano n.1030/2005.Si sarebbe per di più dovuto liquidare un unico onorario pertutti gli assistiti, ex art. 5, comma 4, d.m. 127/2004. Su taleprofilo, la Corte d’appello replicò che l’avv. D.F.avesse fatto riferimento, per la quantificazione dei propricorrispettivi, alla nota spese depositata nel relativo processodagli attori, che ricomprendeva l’attività da lui svolta, nonchéalle spese vive anticipate per i B., tenendo poicorrettamente conto della liquidazione a suo tempo dispostadal Tribunale di Milano nella sentenza n. 1030/2005, riducendoproporzionalmente di conseguenza la propria pretesa (euro 232,41per spese, ed euro 5.800,00 per diritti ed onorari, oltre spesegenerali, IVA e Cpa). Per la Corte d’appello, la liquidazioneoperata a suo tempo dal Tribunale costituiva garanzia dicontrollo ed imparzialità, ed inoltre la pretesa del legale, pari acirca la metà dei compensi a suo tempo liquidati dal Tribunaledi Milano, appariva congrua in relazione all’attività difensivasvolta nell’interesse dei B. (atto di costituzione contenentedomanda riconvenzionale, memorie istruttorie, partecipazionea più udienze fino alla revoca del mandato), nonché rispettosadei limiti tariffari professionali vigenti, alla stregua del d.m.127/2004. Si trattava, inoltre, di attività difensive noninteramente coincidenti con quelle svolte dall’avvocatoinfavore dell’altra assistita Assicurazioni Generali, comeconfermato dalle distinte liquidazioni operate dal giudice. Nelprosieguo della sua motivazione, la sentenza della Corte diMilano giudicò corretto il rigetto dell’eccezione di prescrizionepresuntiva, avendo M.B.e A.B., per le difese svolte,ammesso di non aver estinto l’obbligazione dedotta in lite,ovvero allegato di essere obbligati solo al pagamento di unasomma minore di quella domandata. Circa la contemporaneaeccezione di prescrizione decennale, la Corte di Milano reputòla stessa inammissibilità alla luce della mancata tipizzazionerispetto all’eccezione di prescrizione presuntiva, oltre checomunque infondata, comunque essa decorrendo solo dalmomento di revoca del mandato (10 luglio 2001) e nondall’ultima attività processuale individuata dagli appellanti(l’udienza del 7 febbraio 2001), avendo riguardo poi alla datadi proposizione della domanda giudiziale in esame (6 aprile2011). La prescrizione ordinaria rimaneva, inoltre, interrottaper effetto delle richieste di pagamento dell’avv. D.F. mediante raccomandate del 4 maggio 2006, del 9 novembre 2006 e del 29 giugno 2009.In ordine alla doglianza sulla ravvisata obbligazione solidale alpagamento dei corrispettivi professionali, la Corte d’Appello haspiegato, da ultimo, come i B. si trovassero in unasituazione processuale di litisconsorzio facoltativo attivo,dovendosi perciò ritenersi unitaria la prestazione difensivasvolta dall’avv. D.F.a loro vantaggio.
1.Il primo motivo di ricorso di A.B. e M.B.deduce l’“omesso esame del fatto decisivo costituito dalla mancata allegazione e prova del contratto di patrocinio”;violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c.,82 c.p.c. e 2229 ss. c.c., “in materia di distinzione tra procuraalle liti e contratto di patrocinio”. Si assume l’identità degliinteressi e delle posizioni processuali dei ricorrenti e dellacompagnia assicuratrice, correlati all’accertamento delladinamica del sinistro stradale, e si evidenzia la mancataallegazione, da parte dell’avv. D.F., dell’avvenutastipulazione di un contratto di patrocinio con i signori B.,prevedendo, piuttosto, la polizza assicurativa del veicolo diA.B. la tutela giudiziaria a carico della compagnia, daritenersi perciò unica obbligata al pagamento degli onorari dellegale. Viene anche censurata la qualificazione come “erroremateriale” della presentazione alla compagnia di assicurazione,da parte dell’avv. D.F., della parcella delle propriecompetenze anche per l’attività svolta in favore dei B., cuifece seguito un effettivo pagamento.Il secondo motivo di ricorso di A.B. e M.B.denunzia la “violazione e falsa applicazione nel quantum dellanormativa costituita dalla tariffa professionale e dall’art. 2697c.c.; omesso esame del fatto, dibattuto dalle parti ma ignoratonella sentenza della Corte di merito, dell’intervenuta pronunciadella sentenza n. 74/2012 della Corte d’appello di Milano”.Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsaapplicazione degli artt. 2956 ss. c.c., 2946 c.c., 1219 c.c.nonché l’omessa considerazione di un fatto dibattuto dalle parti(le “Assicurazioni Generali S.p.A. hanno pagato”). Si criticaaltresì il dies a quo ravvisato in sentenza per la decorrenzadella prescrizione decennale.Il quarto motivo di ricorso di A.B. e M.B.deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e12,4 c.c. in materia di solidarietà tra condebitori e“l’immotivata difformità della sentenza impugnata rispetto allagiurisprudenza di legittimità”, non essendo affatto illitisconsorzio facoltativo attivo fonte di obbligazioni solidali.
1.1. Non è ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 348 ter, comma 5,c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360,comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello “che conferma ladecisione di primo grado”, come invece eccepito dalcontroricorrente, in quanto la pronuncia della Corte di Appellodi Milano non è fondata unicamente sulle stesse ragioni,inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione delTribunale. Neppure sussiste l’eccepita inosservanza dell’art.366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto il ricorso indica consufficiente specificità gli atti e i documenti sui quali si fonda.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di seguitospecificati, sulla base di una ragione giuridica comunqueindividuabile in questa sede alla stregua dei fatti accertati nellefasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nellostesso provvedimento impugnato.L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento deglialtri tre motivi, i quali perdono di conseguenza immediatarilevanza decisoria.È consolidata l’interpretazione di questa Corte, secondo cui, alfine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere ilcompenso professionale al difensore, occorre distinguere trarapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura“ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionistaincaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale puòessere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. Intal caso, spetta a chi agisce per il conseguimento del compensol’onere di provare il conferimento dell’incarico da parte delterzo (Cass., Sez. III, 28 mrazo 2012, n. 4959; Cass. Sez. II,27 dicembre 2004, n. 24010). Più in generale, secondol’interpretazione giurisprudenziale, il rapporto di prestazioned’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dalprofessionista come titolo del diritto al compenso, postulal’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi formaidonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersidella sua attività e della sua opera da parte del clienteconvenuto per il pagamento di detto compenso. Ciò comportache il cliente del professionista non è necessariamente colui nelcui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale,ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferitoincarico al professionista ed è conseguentemente tenuto alpagamento del corrispettivo. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dalconvenuto contestato sotto il profilo della mancatainstaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore (Cass.,Sez. III, 3 agosto 2016, n. 16261; Cass., Sez. II, 29 settembre 2004, n.19596; Cass., Sez. I, 2 giugno 2000, n. 7309; Cass., Sez. III,4 febbraio 2000, n. 1244).Al riguardo, la Corte d’appello di Milano ha affermato cheA. e M.B. erano stati parti del contratto dipatrocinio con l’avv. D.F., relativo all’azione dirisarcimento promossa dai familiari di R.C., ed essierano perciò tenuti al pagamento degli onorari professionali,non rilevando in senso contrario che fosse stata laAssicurazioni Generali S.p.A., compagnia assicuratrice dellaresponsabilità civile automobilistica, ad aver conferito l’incaricoal legale in relazione al precedente procedimento penale. Taleconclusione è stata raggiunta dalla Corte di Milano sulla basedel rilascio delle procure ad litem, della revoca del mandatoeffettuata direttamente dai B., delle differenti posizioni dellacompagnia assicuratrice e degli assicurati, nonché dellaseparata liquidazione delle spese adottata dal Tribunale diMilano.I ricorrenti hanno però dedotto l’esistenza di un patto digestione della lite nella polizza prodotta come documento 1 nelgiudizio di primo grado (“tutela giudiziaria”), patto che avrebbecomportato il diritto dell’assicuratore di pretenderedall’assicurato un mandato ad litem da rilasciare ad un legalescelto dalla compagnia. L’avv. D.F.nel controricorsodeduce di aver ricevuto incarico dalla Assicurazioni GeneraliS.p.A. in data 25 marzo 1996 per la sola difesa in sede penaledi M.B., mentre l’attività in sede civile a favore diA. e M.B. sarebbe stata iniziata ben prima delpromovimento della causa da parte degli eredi di R.C.L’esistenza, i limiti e gli effetti, nel caso in esame, di un pattodi gestione della lite nella polizza stipulata con AssicurazioniGenerali S.p.A., come desumibile dal richiamato documento,non sono stati presi in considerazione dalla Corte d’appello diMilano, pur trattandosi di fatti che, se esaminati, avrebberopotuto determinare un esito diverso della controversia.A norma dell’art. 1917, comma 3, c.c., l’assicuratore dellaresponsabilità civile è obbligato a tenere indenne l’assicuratodelle spese di difesa erogate per resistere all’azione deldanneggiato (nei limiti fissati in tale disposizione e anche incaso di contraria clausola di polizza, stante l’invalidità dellamedesima, ai sensi dell’art 1932 c.c.). Tale obbligo opera,peraltro, pure indipendentemente dalla stipulazione di un pattodi gestione della lite, giacché è fondato sulla attualità delladomanda del terzo danneggiato e sul perseguimento di unrisultato utile per entrambe le parti, interessate nelrespingerla. L’obbligo di pagare il legale dell’assicurato indicatodall’assicuratore nel giudizio promosso dal danneggiato(indipendentemente dal rilascio della procura ad litem da partedell’assicurato, che occorre per attribuire al difensore sceltodall’assicuratore lo ius postulandi, nonché per attuarel’eventuale diritto pattizio dell’assicuratore di gestire la causa)concreta, dunque, a norma del terzo comma dell’art. 1917 c.c.,un debito proprio dell’assicuratore (Cass., Sez. I, 17 novembre 1976,n. 4276; Cass., Sez. III, 26 agosto 1985, n. 4554; Cass., Sez. I,15 gennaio 1985, n. 59; Cass., Sez. III, 6 maggio 1978, n. 2194). Ladifesa dell’assicurato – rendendosi necessaria per il solo fattodell’instaurazione di un giudizio da parte di chi assuma di aversubìto un danno – viene, invero, svolta anche nell’interessedell’assicuratore, inteso come interesse all’obbiettivo eimparziale accertamento dell’esistenza dei presupposti del suoobbligo all’indennizzo, sicché lo stesso assicuratore non puòessere esonerato dal sopportarla, sia pure nei limiti fissati dalterzo comma dell’art 1917 c.c., anche nell’ipotesi in cuirimanga accertato che nessun danno debba essere risarcito alterzo che ha promosso l’azione di risarcimento control’assicurato (così Cass., Sez. II, 1° giugno1977, n. 2227).L’art. 1917, comma 3, c.c., si riferisce, peraltro, alle spesesostenute “per resistere” (cfr. Cass., Sez. III, 4 maggio 2018, n,10595), restando pertanto fuori dall’ambito di direttaapplicabilità della norma le spese che siano state sostenutenon per attività di resistenza alle pretese del terzo ma perattività complementari ad essa.Ove si sia in presenza, però, di un patto di gestione della liteaccessorio al contratto di assicurazione, è l’impresa cheassume, di regola, la gestione delle vertenze in sedestragiudiziale come giudiziale, e tanto in sede civile che penale,a nome dell’assicurato, designando, ove occorrano, legali eperiti.Secondo un ormai risalente precedente di questa Corte, “ilpatto con cui l’assicuratore assume la gestione della liteconfigura un negozio atipico, ma è accessorio al contratto diassicurazione e rappresenta un mezzo attraverso il quale vienedata esecuzione al rapporto assicurativo (Cass., Sez. III,24 aprile 1994, n. 9744). In particolare, il patto di gestione dellalite costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutivadell’obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall’art.1917, comma 3, c.c.La qualificazione del patto di gestione della lite come modalitàesecutiva dell’obbligo di cui all’art. 1917, comma 3, c.c., lettain combinato con gli ultimi due commi dell’art. 1914 c.c.,implica per l’assicuratore, che assuma la lite, l’onere dianticipare o di concorrere direttamente alle spese di giudizio,restando l’assicurato esonerato dal dover anticipare le stesseproprio perché immediatamente corrisposte dalla compagnia allegale o al perito da essa nominati.La Corte d’appello di Milano ha desunto che l’incaricoall’avv. D.F.per la difesa in sede civile fosse statoconferito da A. e M.B. e non dalla AssicurazioniGenerali S.p.A., e ciò, come visto, sulla base del rilascio delleprocure ad litem, della revoca del 10 luglio 2001, delle diverseposizioni della compagnia assicurativa e degli assicurati B. edelle distinte liquidazioni adottate dal Tribunale. Nessuno di taliindizi rivela, in realtà, univoca significatività ai fini delladecisione, in quanto l’assicurato, proprio per dareadempimento al patto di gestione della lite (non esaminato daigiudici di secondo grado), deve nominare l’avvocato indicatodall’assicuratore e rilasciargli apposito mandato, mentre lastessa revoca del difensore proveniente dall’assicurato, senza ilconsenso dell’assicuratore, si rivela unicamente qualeeventuale inadempimento del patto di gestione. Una voltadesignato il legale e intrapreso il giudizio con la costituzionedell’assicurato, l’avvocato di quest’ultimo, poi, non può chesvolgere le proprie difese a tutela dell’interesse del proprioassistito, non dovendosi postulare una assoluta convergenza diiniziative e di posizioni processuali con l’assicuratore.Conseguono l’accoglimento del primo motivo del ricorso,l’assorbimento dei restanti motivi e la cassazionedell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Corted’appello di Milano, che deciderà la causa attenendosi aiprincìpi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti.Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine al regolamentodelle spese di questo giudizio di legittimità. (Omissis).