Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Clausole di intrasmissibilità agli eredi del diritto all´indennizzo, tra limitazione di responsabilità e divieto di patti successori (di Ilaria Riva)


La clausola di intrasmissibilità agli eredi del diritto all’indennizzo è da ritenersi vessatoria a norma dell’art. 1341, comma 2, c.c. in quanto stabilisce una limitazione di responsabilità dell’assicuratore (1).

Tribunale di Trento, 14 ottobre 2019, G.U. (dott. De Tommaso) B.R., A.C., A.M., A.M. (avv. Moser) c. H.C. s.a. (avv. Martini, Ridolfi)

SENTENZA

Gli attori in epigrafe, rispettivamente vedova e figli di A.A. e suoi eredi, chiedono la condanna di H.C. s.a. al pagamento della somma di euro 250.000,00 quale indennizzo di spettanza di A.A. in base alla Polizza Multirischi avente ad oggetto tra l’altro il rischio di invalidità permanente conseguente a malattia con un indennizzo previsto in euro 250.000,00 nell’eventualità di invalidità permanente in grado superiore al 66%, oltre ad una diaria da ricovero per malattia per euro 150,00 per ogni giorno di degenza. Hanno esposto che A.A. era stato colpito da arresto cardio-circolatorio con insulto anossico in valvopatia aortica in data 7 settembre 2014 con conseguente stato di coma e invalidità permanente totale accertata come consolidata nel verbale dell’U.O. di medica legale di Trento del 1° dicembre 2014; che lo stato di malattia dell’assicurato era stato denunciato all’assicuratrice il 22 ottobre 2014 e che in seguito era stata inviata alla stessa tutta la documentazione medica e la cartella attestante il ricovero; che l’A., trasferito dal 30/10/2014 presso la Casa di cura Santo Spirito di Pergine Valsugana in stato vegetativo, era poi deceduto il 22 marzo 2015 per insufficienza respiratoria e gastropatia acuta; che l’istanza di liquidazione del sinistro era stata respinta dalla Compagnia, sia perché il decesso era sopraggiunto prima della visita medico-legale volta ad accertare i postumi permanenti, sia in base all’art. 23 delle norme contrattuali, assumendosi il diritto all’indennità di carattere personale e non trasferibile. Hanno aggiunto gli attori di aver presentato reclamo alla stessa Compagnia, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, AGCM, e all’IVASS evidenziando la vessatorietà della clausola sull’intrasmis­sibi-lità del diritto all’indennizzo, e che l’IVASS aveva invitato la Compagnia a riesaminare il caso e l’AGCM si era espressa per la natura vessatoria della clausola, ma che ciò nonostante nulla la Compagnia aveva riconosciuto, nonostante la prova del consolidamento dell’invalidità e dell’estraneità del decesso rispetto alla causa della malattia.

H.C. s.a. si è costituita in giudizio resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto. Ha eccepito che la polizza non era operativa e che gli attori erano carenti di legittimazione attiva, in quanto per il rischio dell’invalidità il beneficiario era unicamente il contraente, e a norma dell’art. 23 delle disposizioni contrattuali il diritto all’indennità era personale e non trasferibile; solo nel caso in cui fosse stata attivata la garanzia morte a causa di infortunio gli eredi avrebbero avuto legittimazione ad agire (ma non sussistevano i presupposti, essendo la morte intervenuta per cause estranee all’infortunio denunciato).

Inoltre la polizza prevedeva, per l’invalidità, che per valutare le conseguenze invalidanti della malattia la Compagnia avrebbe eseguito gli opportuni accertamenti medici in un periodo compreso tra i 6 e i 18 mesi dalla data delle denuncia della malattia, affinché detti postumi si stabilizzassero, ma ciò non era avvenuto nella fattispecie, in quanto l’A. era deceduto il 22 marzo 2015, sei mesi dopo la denuncia alla Compagnia, che si era comportata correttamente ed aveva adempiuto alle obbligazioni contrattuali. Le clausole erano state debitamente sottoscritte dall’A. e il contenuto non poteva essere contestato dai familiari né tacciato di vessatorietà, in quanto ciò avrebbe potuto farlo eventualmente solo il contraente. La convenuta ha quindi concluso per l’accertamento del difetto di legittimazione attiva degli attori e in subordine per l’inoperatività della polizza.

Con la polizza “multirischi persona” stipulata da A.A. con la Compagnia convenuta erano assicurati i rischi infortuni, diaria ricovero da malattia e invalidità permanente da malattia.

Come da esposizione dell’atto introduttivo, l’evento verificatosi era stato quello dell’invalidità permanente da malattia ed è in relazione a tale evento che gli attori chiedono alla Compagnia la corresponsione dell’indennizzo che sarebbe spettato ad A.A. agendo quali suoi eredi, dopo aver inutilmente reclamato la liquidazione dell’indennizzo in sede stragiudiziale.

Come si legge nel “Modulo quattro invalidità permanente da malattia”, l’assicu­razione vale per il caso di invalidità permanente conseguente a malattia manifestatasi successivamente alla data di effetto del contratto; si considera invalidità permanente la perdita o la diminuzione definitiva ed irrimediabile della capacità generica allo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa, indipendentemente dalla professione dell’assicurato, mentre si considera malattia ogni obiettivabile alterazione evolutiva dello stato di salute non dipendente da infortunio, intendendosi per tale ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che abbia per conseguenza diretta ed esclusiva lesioni fisiche oggettivamente constatabili; la somma assicurata è di euro 250.000,00, il grado di invalidità permanente viene valutato in un periodo compreso tra i 6 e i 18 mesi dalla data della denuncia della malattia.

In punto di fatto risulta documentalmente che l’assicurato A.A. fu colpito da arresto cardiocircolatorio (ACC) il 7 settembre 2014 riportando diagnosi di encefalopatia post-anossica (v. doc. 5 attori); il 30 settembre 2014 fu dimesso dal reparto di anestesia e rianimazione dell’Ospedale di Rovereto con diagnosi di insufficienza respiratoria acuta e cronica per essere ricoverato nel reparto di riabilitazione neurologica con diagnosi di stato di coma post arresto cardio-circolatorio; il 30 ottobre 2014 venne dimesso da tale reparto con diagnosi di stato di coma post arresto cardio-circolatorio in cardiopatia ischemica; fu ricoverato presso l’azienda pubblica di servizi alla persona S. Spirito a Pergine Valsugana il 30 ottobre 2014, dove giunse in coma post-anossico, con tracheotomia e nutrizione tramite sondino naso-gastrico; quivi si verificò il decesso il 22 marzo 2015 dopo l’insorgenza di insufficienza respiratoria e gastropatia acuta.

L’A. restò in stato di incoscienza per tutto il tempo intercorso tra l’arresto cardio-circolatorio e il decesso, senza presentare mai alcun segno di ripresa. All’esito della visita presso l’unità operativa di medicina legale per l’accertamento sanitario dell’invalidità civile in data 22 novembre 2014, il medico legale certificò che egli era invalido con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

La situazione di A.A. rientrava quindi pienamente nella previsione di rischio coperto da assicurazione, essendosi verificata una invalidità permanente a seguito di malattia (mentre il decesso intervenne per cause diverse dalla malattia all’origine dell’invalidità).

Ciò posto, la domanda degli attori risulta fondata.

In merito all’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dalla convenuta va premesso che la “legitimatio ad causam” si ricollega all’art. 81 c.p.c. (Fuori dei casi previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”), attiene all’astratta possibilità che le parti del giudizio siano i soggetti cui si riferisce la norma, e richiede solo l’interpretazione di tale norma, ai fini della “verifica, secondo la prospettazione offerta dall’attore, della regolarità processuale del contraddittorio” (Cass., Sez. II, 17 marzo 1995, n. 3110, Cass., Sez. II, 18 gennaio 2002, n. 548, e Cass., Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17606), distinguendosi dal­l’effettiva titolarità del rapporto, che richiede anche un accertamento del fatto cui si ricollega la postulata qualificazione di diritto sostanziale e attiene al merito della controversia (Cass., Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17606, m. 568326), così Cass. n. 7776/2017.

Nella fattispecie tale eccezione si risolve in un’eccezione di difetto di titolarità, in capo agli attori, del diritto a ricevere il pagamento dell’indennizzo per l’evento dedotto: ed invero gli attori, non agiscono per la tutela di un diritto altrui, ma rivendicano il diritto all’indennizzo come loro proprio, in quanto successori universali dell’assicurato A.A., e la società convenuta contesta appunto che quel diritto possa sussistere in capo agli attori in base alla clausola di intrasmissibilità di cui all’art. 23 delle norme che regolano l’assicurazione “invalidità permanente da malattia”, secondo cui Il diritto all’indennità e di carattere personale e non è quindi trasferibile.

Gli attori contestano la legittimità di tale clausola, perché vessatoria, nulla ed inefficace.

La clausola in esame è da ritenersi vessatoria a norma dell’art. 1341 c.c., comma 2, in quanto stabilisce una limitazione di responsabilità dell’assicuratore.

Nella distinzione tra individuazione dell’oggetto del contratto di assicurazione, ovvero la delimitazione del rischio assicurato e delimitazione della responsabilità, la S.C. ha avuto modo di precisare che nel contratto di assicurazione sono da considerate clausole limitative della responsabilità quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (Cass. n. 5158/2005; Cass. n. 1430/2002). La tipologia di clausola che esclude la trasmissione del diritto all’indennizzo, come affermato dalla S.C., lungi dall’individuare l’oggetto del contratto e a precisare e delimitare il rischio garantito, tende ad escludere lo stesso rischio garantito; ha osservato sul punto la Corte (chiamata ad esaminare la natura della clausola di un contratto di assicurazione per infortunio in cui si prevedeva l’in­trasmissibilità del diritto all’indennizzo per il caso in cui l’assicurato fosse deceduto prima della liquidazione dell’indennizzo, per cause diverse dall’infortunio, cfr. Cass. n. 395/2007) che se, giusta la testuale previsione dell’art. 1882 c.c. l’assicura­zione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” è evidente che nella fattispecie “oggetto” del contratto era l’invalidità permanente che avrebbe potuto riportare (come poi ha riportato) l’as­sicurato. La previsione contenuta nella clausola per cui è controversia, e cioè la non trasmissibilità del diritto all’indennizzo nell’eventualità l’assicurato fosse deceduto, per cause diverse dall’infortunio prima della concreta liquidazione dell’indennità stessa non riguarda in alcun modo né “l’oggetto” del contratto né “il rischio garantito” ma introduce una “limitazione” della responsabilità dell’assicuratore. Quest’ul­timo infatti, in forza di tale clausola, ancorché si sia già verificato l’evento, e si siano pertanto realizzate tutte le condizioni volute dalla legge e dal contratto per la liquidazione e il concreto pagamento dell’indennizzo, può essere esentato da tali adempimenti per il verificarsi di circostanze (morte dell’infortunato per causa indipendente dall’infortunio e omessa liquidazione dell’indennizzo) che non solo non costituivano in alcun modo l’oggetto del contratto di assicurazione, limitato alla tutela del­l’assicurato per eventuali infortuni, ma che almeno in tesi potevano essere addebitati al mero comportamento dilatorio dello stesso assicuratore che, per negligenza o altro, abbia ritardato la liquidazione l’offerta in misura determinata dell’indennizzo stesso. La S.C. ha posto l’accento sull’imperatività della disposizione del­l’art. 1905 c.c., secondo cui l’assicuratore è tenuto a risarcire nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto il danno sofferto dall’assicurato in conseguenza del sinistro, per cui ogni altra previsione contrattuale che limiti, riduca o escluda la responsabilità dell’as­sicuratore per fatti estranei al “danno sofferto dall’assicurato” costituente l’og­get­to del contratto, non attiene alla sfera di limitazione del rischio, ma a quella diversa di limiti all’obbligo di risarcimento del danno già sorto e definito nella sua entità di fatto e di diritto (cfr. Cass. n. 3234/1988). Qualunque clausola che limiti la responsabilità dell’assicuratore per un fatto estraneo al danno, all’oggetto del contratto, inserita nelle condizioni generali di polizza, è clausola vessatoria in quanto avvantaggia la condizione del predisponente in danno della parte assicurata e dei suoi eredi, non potendo sottrarsi al disposto dell’art. 1341, comma 2, c.c. per cui ai fini dell’efficacia è necessaria la specifica approvazione.

Le argomentazioni così svolte dalla S.C. sono senz’altro applicabili alla fattispecie in esame. Anche in questo caso l’oggetto dell’assicurazione era individuato nello stato di invalidità (in percentuale maggiore al 66%); l’intrasmissibilità del diritto all’indennizzo, a seguito del decesso dell’assicurato per causa diversa dalla malattia che aveva dato luogo all’invalidità, si concretizza non già in una limitazione del­l’oggetto (come avrebbe potuto essere, ad esempio, ove si fosse voluto escludere per contratto dal rischio indennizzabile l’invalidità derivante da una o più determinate patologie), bensì in un’esclusione della responsabilità, esonerando la società di assicurazione dall’obbligo di pagare l’indennizzo in favore dei successori universali dell’assicurato, il quale aveva già maturato il diritto, anche in deroga ai princìpi generali che prevedono la trasmissibilità agli eredi dei diritti a contenuto patrimoniale. Siffatta clausola, non giustificata da alcuna esigenza se non quella di alleviare l’onere economico gravante sull’assicuratore, in relazione ad un rischio comunque coperto dalla garanzia, integra indubbiamente una clausola limitativa della responsabilità che, ove predisposta a stampa nelle condizioni generali di contratto, è da ritenere inefficace nei confronti del contraente aderente, in mancanza di specifica approvazione scritta. (cfr. sul punto in questi termini Cass. n. 17272/2009).

L’art. 23 delle norme che regolano l’assicurazione invalidità permanente da malattia non reca la doppia sottoscrizione del contraente ed è inefficace.

Sussiste pertanto il diritto degli attori, in quanto eredi di A.A., di ricevere l’in­dennizzo per l’importo di euro 250.000,00, ricorrendone tutti i presupposti.

Né rileva che al momento del decesso dell’A. non fosse ancora scaduto il periodo a disposizione della Compagnia per la valutazione del grado di invalidità, compreso tra i 6 e i 18 mesi dalla data della denuncia della malattia, in quanto ciò che rileva è il dato obiettivo dell’avvenuto consolidamento dell’invalidità prima del decesso dell’assicurato (per altra causa) e nella fattispecie non può esservi alcun dubbio sul punto, alla luce della certificazione pubblica di invalidità totale accertata sin dal 22 novembre 2014, e dunque ben prima del decesso.

La domanda va pertanto accolta, con la condanna della compagnia di assicurazione convenuta a pagare in favore degli attori la somma in oggetto, a favore di ciascuno per le rispettive quote ereditarie.

Spese secondo soccombenza come in dispositivo.

COMMENTO La clausola che esclude la trasmissibilità agli eredi del diritto a pretendere l’in­dennizzo già maturato dall’assicurato, ma non ancora offerto né liquidato in maniera determinata al momento della sua morte, incontra da tempo il disfavore degli interpreti (per un remoto precedente favorevole alla clausola v. Cass. 5 maggio 1939, n. 1509, in questa Rivista, 1940, II, 2, 57). Ciononostante essa non di rado permane nelle condizioni generali di contratto di alcune polizze del ramo infortuni e malattie, come rivela il caso esaminato nella sentenza in epigrafe. In un’assicurazione “multirischi persona” per la copertura dei rischi infortuni, diaria ricovero da malattia e invalidità permanente da malattia, si prevedeva la non trasmissibilità del diritto all’indennizzo nell’eventualità che l’assicurato fosse deceduto, per cause diverse dall’infortunio, prima della offerta o effettiva liquidazione del­l’indennità stessa. Nella vicenda concreta, verificatosi l’evento dell’invalidità permanente per arresto cardio-circolatorio, l’assicurato era deceduto sei mesi dopo per insufficienza respiratoria e gastropatia acuta, eventi estranei rispetto alla causa della malattia. Da qui la controversia tra l’impresa assicuratrice e gli eredi dell’as­sicurato sull’efficacia della suddetta previsione negoziale di intrasmissibilità. La clausola suscita perplessità sotto diverse prospettive. Essa prevede l’estinzione del diritto di credito all’indennizzo in connessione con il decesso del suo titolare, di fatto precludendogli di disporne per atto di ultima volontà. Sulla scia di queste considerazioni parte della dottrina ha ravvisato una sostanziale funzione successoria, scorgendovi la fisionomia di un legato contrattuale di liberazione da debito, nullo per violazione del divieto di patti successori istitutivi (F. Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Milano, 1990, 206 s.; R. Calvo, Il contratto di assicurazione. Fattispecie ed effetti, in Tratt. resp. civ. diretto da M. Franzoni, Milano, 2012, 184 s.). Non ha tuttavia aderito a questa impostazione la Corte di legittimità che in una sentenza del 1992 ha chiaramente escluso la configurabilità di un contratto successorio, con l’osservazione, a dire il vero un poco semplicistica e non pienamente convincente, che “l’assicurato non dispone mortis causa dei propri beni e soprattutto non assegna a terzi in via contrattuale, preventiva ed irrevocabile beni o diritti facenti parte della propria eredità” (Cass. 23 aprile 1992, n. 4912). Ma poiché la dismissione è una forma di disposizione, la motivazione non è completamente appagante. L’autorevolezza del precedente ha tuttavia indotto la giurisprudenza successiva a sondare [continua..]
Fascicolo 4 - 2019