Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Funzione previdenziale e rischio demografico nelle polizze unit e index linked (di Fabrizio de Francesco, Avvocato. Dottore di ricerca in Diritto civile - Università di Torino.)


Partendo dall’esame delle decisioni della Corte di Cassazione n. 3785 del 12 febbraio 2024 e n. 9418 del 9 aprile 2024, lo scritto ricostruisce i criteri adottati dalla giurisprudenza e dalla dottrina per l’interpretazione delle polizze unit linked ed index linked e per la loro qualificazione quali assicurazioni sulla vita oppure quali strumenti finanziari, con particolare riferimento alla funzione previdenziale ed alla ripartizione del rischio demografico.

Social security benefits and “demographic risk” in unit linked and index linked policies

Starting from the exam of two cases ruled by Court of Cassazione (judgment of 12/02/2024, n. 3785, and of 19/04/2024, n. 9418), the paper reconstructs the criteria adopted by case-law and doctrine for the interpretation of unit linked and index linked policies and for their categorization as life insurance policies or as financial assets, having regard in particular to social security benefits and to the sharing of “demographic risk”.

PROVVEDIMENTO: La Corte ecc. (Omissis). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Vicenza ha rigettato la domanda proposta dal Fallimento S.d.F. tra A.A., B.B. e C.C. nei confronti di Skandia Vita S.p.A. C.C. e D.D., finalizzata ad ottenere la corresponsione del valore di riscatto della polizza Uni Linked Berico Gestione Unit Plus n. 3254375 stipulata tra C.C. e Skandia Vita S.p.A., in data 20.4.2007, con il versamento di un premio unico di Euro 73.000,00. Il giudice di primo grado ha ritenuto che la polizza nella quale sia presente comunque la componente “rischio demografico” non può perdere, pur in presenza di una componente “rischio finanziario” la sua natura di polizza-vita, con conseguente sua attrazione nell’alveo di applicazione dell’art. 1923 cod. civ. La Corte d’Appello di Venezia, pur qualificando il contratto stipulato dalle parti come prodotto finanziario riconducibile ad un fondo comune di investimento, in ragione della mancanza di rischio finanziario in capo all’assicuratore ed assunzione dell’intero rischio in capo all’assicurato (con conseguente inapplicabilità delle tutele di cui all’art. 1923 c.c. e diritto del fallimento ad acquisire il valore di riscatto della polizza), sul rilievo che non era stata fornita prova che fosse stata inoltrata una richiesta di riscatto da parte della fallita, né quale importo fosse stato eventualmente versato a favore della fallita ed in pregiudizio del fallimento, ha rigettato la domanda proposta dal fallimento ex art. 44 legge fall., rigettando così l’appello. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione principale il fallimento S.D.F. tra A.A., B.B. e C.C., affidandolo a due motivi. Eurovita S.p.A., già Skandia Vita S.p.A., e C.C. hanno resistito in giudizio con controricorso, depositando ricorso incidentale (avente natura condizionata per la C.C.). Con ordinanza interlocutoria del 27.6.2023, questa Corte ha rimesso in pubblica la questione, di chiara natura nomofilattica della classificazione delle polizze unit linked, disciplinate nel nostro ordinamento dall’art. 2 comma 3° d.lgs. n. 209/2005, nonché l’influenza di tale classificazione sull’applicazione dell’art. 1923 cod. civ. (Omissis) MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) 5. La Eurovita S.p.A., nel proprio ricorso incidentale, ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1923 cod. civ., 42 e 46 legge fall. Espone la ricorrente incidentale che, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 209/2005, i prodotti unit linked, come quello di cui è causa, sono definiti espressamente come contratti di assicurazione sulla vita con un valore della prestazione “direttamente collegato al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni” ed appartengono ai contratti di assicurazione sulla vita ramo III. Evidenzia, [continua..]
SOMMARIO:

1. I casi concreti - 2. I precedenti giurisprudenziali (in particolare Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271) - 3. Le decisioni della Cassazione n. 3785 e n. 9418/2024 - 4. Sul concetto di irrisorietà della prestazione garantita - 5. Interferenze con la giurisprudenza comunitaria - NOTE


1. I casi concreti

Con le pronunce in commento la Cassazione torna sulla natura e sul contenuto delle polizze unit linked, esaminando due casi che ripropongono le situazioni concrete in cui il tema interpretativo si è posto più frequentemente nel corso degli ultimi anni. Procedendo in ordine cronologico, la sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024 ha affrontato un caso riguardante la domanda di riscatto di una polizza unit linked proposta dal curatore di un fallimento di una società personale. In primo grado il Tribunale di Venezia aveva rigettato la domanda del fallimento, riconoscendo come nella polizza in questione permanesse comunque una componente di rischio demografico tale da consentire, malgrado la compresenza di un rischio finanziario, la qualificazione del contratto come assicurazione sulla vita e quindi la sua attrazione nell’alveo di applicazione dell’art. 1923 c.c. Secondo quanto emerge dalla motivazione della sentenza di legittimità, la Corte d’appello di Venezia aveva anch’essa rigettato la domanda del fallimento seppur seguendo un diverso percorso argomentativo [1]. Con la sentenza del 12 febbraio 2024 qui in esame, la Cassazione – investita della questione dal fallito con ricorso principale e dalle altre parti con ricorso incidentale – ha confermato la ricostruzione dei giudici di merito, negando la natura assicurativa della polizza unit linked dedotta in giudizio e la conseguente applicabilità dell’art. 1923 c.c. [2]. Nella successiva decisione, l’ordinanza n. 9418 del 9 aprile 2024, il profilo ermeneutico riguardante la natura ed il contenuto del contratto rileva invece ai fini dell’applicazione degli obblighi informativi e di trasparenza previsti dalla legge per la negoziazione di strumenti finanziari. Nel dettaglio, emerge che nel primo grado, svoltosi dinanzi al Tribunale di Parma, la natura assicurativa del contratto era stata esclusa, con conseguente applicazione delle norme sull’intermediazione finanziaria e riconoscimento della responsabilità dell’intermediario bancario che aveva venduto il prodotto, in particolare per violazione dell’obbligo di acquisire informazioni sulla situazione finanziaria e sulla propensione al rischio del cliente e di astenersi dal dare corso a operazioni inadeguate [3]. La Corte d’appello di Bologna aveva, invece, accolto l’appello principale proposto [continua ..]


2. I precedenti giurisprudenziali (in particolare Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271)

Le decisioni della Cassazione del 12 febbraio e del 9 aprile del 2024 si innestano su un percorso giurisprudenziale il quale ha avuto un’evoluzione particolarmente significativa, soprattutto nell’ultimo quarto di secolo, che ha visto una particolare diffusione sul mercato dei prodotti cc.dd. misti assicurativi-finanziari [7]. Si tratta in particolare, secondo la definizione più diffusa, di contratti formalmente riconducibili all’assicurazione sulla vita in cui la prestazione dovuta dall’assicuratore al verificarsi di un evento attinente alla vita umana non è predeterminata al momento della conclusione del contratto in modo certo, bensì è commisurata ad un parametro di riferimento di natura finanziaria, che può consistere o nell’andamento di un indice di borsa o ad un paniere di indici o di titoli (polizze index linked), oppure nel rendimento di un fondo di investimento sottostante (polizze unit linked) [8]. Per l’importanza che il precedente ha assunto, la quale emerge anche dalle motivazioni delle due decisioni del 2024 qui esaminate, lo snodo fondamentale dell’iter ermeneutico seguito dalla giurisprudenza di legittimità è tuttora rappresentato dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 8271 del 31 marzo 2008 [9], la quale aveva posto fine ad un risalente contrasto [10] e va dunque qui sommariamente richiamata. Anche nel caso sottoposto all’esame delle sezioni unite nel 2008 si trattava di una richiesta di pagamento da parte di un curatore fallimentare rivolta ad una compagnia di assicurazioni, avente ad oggetto la somma dovuta a titolo di riscatto di una polizza sulla vita (di cui era beneficiario uno dei soci della società fallita). Si trattava dunque di un caso del tutto sovrapponibile rispetto a quello deciso dalla sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024 e nel quale le sezioni unite avevano da subito correttamente inquadrato il problema con riferimento all’art. 1923 c.c., in correlazione all’allora art. 46, comma I, n. 5), legge fall. (ora il riferimento sarebbe, come si è visto, all’art. 146 del Codice della crisi d’impresa). La motivazione della decisione delle sezioni unite del 2008 era particolarmente rilevante – oltre che per il ruolo istituzionale in capo alle stesse – perché si articolava secondo due linee argomentative, complementari fra [continua ..]


3. Le decisioni della Cassazione n. 3785 e n. 9418/2024

Entrambe le decisioni della Cassazione qui in esame – la seconda delle quali è peraltro ben avvertita dell’esistenza della prima, che viene espressamente citata e condivisa in motivazione – si pongono in linea con la decisione delle sezioni unite del 31 marzo 2008, oltre che della parte maggioritaria della successiva giurisprudenza [21], ritenendo entrambe che, per poter affermare la persistente natura assicurativa delle polizze index o unit linked, occorra valutare se il contratto assolva o meno la funzione previdenziale che costituisce la finalità propria e caratteristica del contratto di assicurazione sulla vita, nel senso sopra ampiamente ricostruito. E proprio a tal fine entrambe le decisioni confermano prima di tutto l’irrilevanza del nomen iuris che le parti hanno attribuito al negozio [22], dovendosi per contro procedere attraverso un’interpretazione del contratto caso per caso, avuto riguardo agli specifici diritti ed obblighi reciprocamente assunti ed alla concreta ripartizione del rischio; con la ripetuta, ma in realtà ambigua precisazione secondo la quale tale valutazione «è riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità» [23]. Procedendo pertanto con l’esegesi dello specifico contratto oggetto della lite, la sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024 richiama espressamente le sezioni unite, traendo dall’intero percorso argomentativo seguito dalle stesse nel 2008 [24] la conferma che «è proprio lo scopo previdenziale (attuato nelle polizze vita attraverso l’accumulo di capitale così da garantire all’assicurato e/o alla sua famiglia una rendita, ovviando così al rischio dell’evento morte o sopravvenienza ad una certa data gravante su tali soggetti) a giustificare il sacrificio dei creditori previsto dall’art. 1923 cod. civ. – norma che è stata ritenuta da attenta dottrina quale fattispecie di limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore, ravvisandosi in essa una deroga espressa al principio stabilito dall’art. 2740 cod. civ. – con la conseguenza che la polizza sulla vita beneficia di una disciplina di favore, come quella dell’impi­gnorabilità dei capitali e delle rendite, non perché formalmente “prodotto assicurativo”, [continua ..]


4. Sul concetto di irrisorietà della prestazione garantita

Quanto al metodo di interpretazione caso per caso, opportunamente seguito dalla Suprema Corte, ancora un punto va messo in rilievo. In entrambi i precedenti del 2024 qui in commento si fa infatti riferimento alla irrisorietà dell’eventuale prestazione garantita dall’assicuratore. Sia la decisione del 12 febbraio, sia quella del 9 aprile, come si è visto, affermano che il rischio demografico – anche se «apparentemente presente» – è in realtà insussistente quando non si garantisce all’assicurato il riconoscimento di una somma di denaro minima che sia completamente slegata dal valore sottostante delle quote di investimento oppure quando venga attribuita «una somma del tutto irrisoria». Nel caso deciso dall’ordinanza n. 9418 del 9 aprile 2024 l’affer­mazione sembra tuttavia di mero principio, giacché – come detto – in quel caso si trattava di una polizza unit linked che garantiva sia il capitale sia un rendimento minimo apprezzabile. Più pertinente appare invece il riferimento all’irrisorietà della prestazione dell’assicuratore nella motivazione della sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024, in particolare nel passaggio in cui ritiene non idonea a trasferire il rischio demografico sull’assicuratore la clausola che prevedeva il pagamento, in caso di morte, di un capitale variabile in funzione dell’età dell’assicurato al momento del decesso, tra il 105% e il 100,01% del valore maturato al momento della notifica della morte. La Cassazione, infatti, riconosce natura finanziaria ad una simile pattuizione in quanto «comunque “ancorata” al valore delle quote al momento del decesso» e sembra chiaro che, sottesa a questo argomento, vi sia la constatazione che uno degli estremi entro il quale poteva oscillare la variazione del capitale garantito era nella misura del 100,01% (laddove una remunerazione dello 0,01% è da ritenersi del tutto irrisoria, se non addirittura simbolica). La questione era stata affrontata da un importante precedente della Cassazione del 2019 – la sentenza n. 6319 del 5 marzo 2019 [29] – che viene menzionata solo genericamente dalle due decisioni del 2024 qui in esame. Nel 2019 la Suprema Corte aveva censurato una precedente decisione, la quale aveva ritenuto sussistente l’assunzione del rischio [continua ..]


5. Interferenze con la giurisprudenza comunitaria

Vi è infine un “convitato di pietra” nell’intera ricostruzione ermeneutica sin qui riassunta, costituto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia del­l’Unione Europea. Non può negarsi infatti come – almeno a prima vista – la giurisprudenza “unionale” aderisca ad una ricostruzione della natura delle polizze linked apparentemente diversa rispetto a quella affermatasi di fronte ai giudici italiani e, come si è visto, condivisa dalla maggior parte della dottrina [39]. La Corte di giustizia sembra infatti propendere per una prevalente attrazione delle polizze index e unit linked nell’alveo della disciplina del contratto di assicurazione sulla vita, a prescindere dall’indagine sulla sussistenza o meno della funzione previdenziale [40]. La giurisprudenza europea preferisce infatti qualificare sempre le polizze linked come contratti di assicurazione, salvo riconoscere in favore del cliente-consumatore obblighi informativi estesi, comprensivi anche delle informazioni riguardanti la componente ed i rischi finanziari insiti nel prodotto [41]. Le decisioni della Cassazione nn. 3785 e 9418/2024 qui esaminate hanno il pregio di aver quantomeno tentato di armonizzare i principi affermati dalla giurisprudenza nazionale con quelli della Corte dell’Unione. Soprattutto la sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024 [42] ha provato a ricomporre il quadro, sostenendo che né la normativa italiana, né l’interpretazione che ne hanno dato la stessa Cassazione e – oggi possiamo aggiungere – la Corte costituzionale [43], «si pongono minimamente in contrasto con la normativa e la giurisprudenza unionali». Nel ragionamento della Cassazione del febbraio del 2024 è possibile trarre conferma dell’impostazione del giudice interno osservando come sia la stessa Corte di giustizia ad affermare che «per rientrare nella nozione di “contratto di assicurazione”, di cui all’articolo 2, punto 3, della direttiva 2002/92, un contratto di assicurazione sulla vita di capitalizzazione (…) deve prevedere il pagamento di un premio da parte dell’assi­curato e, in cambio di tale pagamento, la fornitura di una prestazione da parte dell’assicuratore in caso di decesso dell’assicurato o del verificarsi di un altro evento di cui al contratto in [continua ..]


NOTE