Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Brevi note sul riparto dell'onere della prova nel contenzioso relativo alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi e alla prestazione di servizi di investimento (di Edoardo Cecchinato, Dottorando in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova.)


Lo scritto muove da una recente pronuncia della Corte di Cassazione per approfondire il perimetro applicativo dell’art. 178 del Codice delle assicurazioni private e dell’art. 23, ultimo comma, del Testo unico della finanza, in materia di riparto dell’onere della prova nei giudizi risarcitori relativi alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi e alla prestazione di servizi d’investimento.

Notes on the burden of proof in the litigation relating to the distribution of insurance-based investment products and the provision of investment services

The note focuses on a recent ruling of the Italian Supreme Court to examine the scope of art. 178 of the Legislative Decree no. 209/2005 and art. 23, last paragraph, of the Legislative Decree no. 58/1998, concerning the distribution of the burden of proof in compensation judgments relating to the distribution of insurance-based investment products and the provision of investment services.

PROVVEDIMENTO: La Corte (Omissis). FATTO B.P.L. convenne in giudizio BIM Vita S.p.A. e Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni S.p.A. per ottenere l’annullamento per vizio del consenso o la risoluzione per inadempimento delle convenute o, comunque, l’accertamento del loro inesatto adempimento in relazione una “polizza vita” (emessa dalla prima con l’intermediazione della seconda) che egli aveva stipulato in considerazione della sua natura assicurativa e della conseguente impignorabilità ex art. 1923 c.c. Dedusse che il funzionario della Banca che gli aveva proposto la stipulazione della polizza aveva evidenziato l’impignorabilità delle somme dovute in forza della stessa e che tale impignorabilità risultava anche dalla nota informativa contenuta nel fascicolo allegato alla scheda contrattuale. Aggiunse che il credito scaturente dalla polizza era stato sottoposto a pignoramento presso terzi da parte di B.I. e successivamente assegnato alla stessa, dopo che, in sede di opposizione all’esecuzione, il Tribunale aveva affermato che il contratto stipulato da B.P.L. non poteva essere qualificato come polizza di assicurazione sulla vita, ma era assimilabile ad un ordinario prodotto finanziario di investimento. Chiese, pertanto, la condanna delle convenute alla restituzione della somma di 125.000,00 euro che era stata versata in esecuzione del contratto assicurativo o, comunque, al risarcimento dei danni per il medesimo importo. Entrambe le convenute si costituirono in giudizio contestando, con diverse ragioni, le domande avversarie. Il Tribunale di Torino pronunciò ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., con cui annullò il contratto per errore essenziale sulla sua natura e, per l’effetto, condannò BIM Vita a restituire a B.P.L. la somma investita (euro 120.267,93), maggiorata degli interessi legali. Il primo giudice ritenne che la polizza avesse natura finanziaria e non assicurativa e che le informazioni fornite dall’assicuratore e dal suo intermediario fossero state fuorvianti, cosicché la sottoscrizione della polizza era stata il risultato di un errore essenziale riconoscibile, costituente pertanto causa di annullamento del contratto ex art. 1429, n. 1, c.c. Pronunciando sul gravame principale della BIM Vita e su quello incidentale della Banca Intermobiliare, la Corte di Appello di Torino ha accolto il primo e dichiarato inammissibile il secondo, per l’effetto riformando l’ordinanza impugnata e rigettando le domande proposte da B.P.L. La Corte ha ritenuto – fra l’altro – che difettasse la prova della conoscibilità dell’errore atteso che, a fronte delle contestazioni avversarie, B.P.L. aveva «omesso di dimostrare di avere espressamente richiesto un prodotto che garantisse dal rischio di pignoramento (...) e che tale qualità/caratteristica sia stata [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Genesi e obiettivi degli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. - 3. Il perimetro operativo delle disposizioni in esame - 3.1. In particolare: i «giudizi di risarcimento dei danni» - 4. Note conclusive sul rapporto tra gli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. e la regola generale di cui all’art. 1218 c.c. - NOTE


1. Il caso

La sentenza in commento affronta un caso di misselling di prodotti assicurativi: l’attore aveva stipulato una polizza vita in considerazione della natura assicurativa della medesima e della conseguente impignorabilità delle somme dovute dall’assicuratore ai sensi dell’art. 1923 c.c. Nondimeno, il credito derivante dalla polizza è stato oggetto di pignoramento in quanto la stessa è stata considerata alla stregua di un prodotto finanziario. L’assicurato ha quindi chiesto l’annullamento del contratto per errore essenziale sulla natura del medesimo, domanda che è stata accolta dal giudice di primo grado. Il giudizio di appello e quello di Cassazione, del quale ci occupiamo in questa sede, invece, hanno avuto esito opposto. La pronuncia della Suprema Corte non si sofferma sulla natura assicurativa o finanziaria del contratto né offre particolari spunti di riflessione in tema di misselling. Essa, invece, si sofferma sulla speciale disciplina del riparto dell’o­nere della prova nel contenzioso relativo alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi e alla prestazione di servizi di investimento. Nelle pagine che seguiranno proveremo ad esaminare la portata e le criticità delle disposizioni richiamate dalla Corte, ossia l’art. 178 del Codice delle assicurazioni private e l’art. 23, ultimo comma, del Testo unico della finanza, al fine di comprendere se le conclusioni a cui la stessa perviene siano condivisibili o meno.


2. Genesi e obiettivi degli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass.

L’art. 23, ultimo comma, t.u.f. precede cronologicamente l’art. 178 c. ass. e, invero, ne ha significativamente ispirato la stesura [1]. La previsione del Testo unico della finanza, infatti, affonda le sue radici nella legge 2 gennaio 1991, n. 1, dove si stabiliva che «Nei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dallo svolgimento delle attività di [intermediazione mobiliare], in violazione della presente legge, dei regolamenti, e delle disposizioni emanate dalle Autorità di vigilanza, [spettasse] alla società o soggetto convenuti l’o­nere della prova di avere agito con la diligenza del mandatario» (art. 13, ultimo comma) [2]. La disposizione citata – che, va precisato, non ha origine comunitaria, come invece accade al giorno d’oggi per la maggior parte della normativa in materia di intermediazione finanziaria [3] – mira ovviamente a tutelare la presunta parte “debole” del rapporto, il cliente, e lo stesso può dirsi anche con riferimento alle previsioni che le sono succedute negli anni, ossia l’art. 18, ultimo comma, del decreto Eurosim e l’art. 23, ultimo comma, t.u.f., tutt’ora vigente ed in forza del quale «Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta» [4]. Come si è detto, la disposizione da ultimo richiamata, rimasta invariata dalla sua introduzione nel 1998 e pressoché speculare a quella contenuta nel decreto Eurosim del 1996 [5], è stata riproposta, mutatis mutandis, anche in ambito assicurativo nel Codice delle assicurazioni private del 2005, il cui art. 178 prevede che «Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al contraente di un contratto di assicurazione sulla vita di cui ai rami III e V dell’art. 2, comma 1, spetta all’impresa l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta». Come è ovvio, anche in tal caso il fine è quello di tutelare la parte debole del rapporto [6]: in sintesi, il legislatore ha ritenuto che l’asimmetria tra le parti non sussista solo nella fase delle trattative e durante l’esecuzione del rapporto eventualmente instaurato, ma perduri anche in sede di contenzioso in [continua ..]


3. Il perimetro operativo delle disposizioni in esame

Ciò premesso, possiamo procedere a delineare il perimetro operativo degli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. Entrambe le disposizioni guardano ai «giudizi di risarcimento dei danni» ma sul punto torneremo al paragrafo seguente. Infatti, per una maggiore chiarezza espositiva, pare opportuno soffermarci prima sulle attività alle quali fanno riferimento gli articoli in commento. Per quel che concerne l’art. 23, ultimo comma, t.u.f., il legislatore guarda ai giudizi risarcitori tra cliente [14] e intermediario (più precisamente, un “soggetto abilitato”), relativi allo «svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori». Il Testo unico della finanza, tuttavia, all’art. 1, comma 5, offre una definizione di «servizi ed attività di investimento» senza tuttavia precisare quali siano i “servizi”, sicché spetta all’interprete distinguerli dalle “attività” [15]. A riguardo, un buon criterio per individuare i primi pare quello di dare rilievo all’istaurazione di un qualsiasi tipo rapporto – precontrattuale o contrattuale – con il cliente e, quindi, alla sussistenza in capo all’inter­mediario di una serie di obblighi posti nell’interesse del cliente stesso. Seguendo questa linea interpretativa, l’art. 23, ultimo comma, t.u.f. non troverebbe applicazione per quel che riguarda la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione e la gestione di sistemi organizzati di negoziazione, in quanto qualificabili come “attività” [16]. Quanto all’art. 178 c. ass., il suo ambito di applicazione attiene ai giudizi risarcitori promossi nei confronti del distributore [17] dal contraente [18] di prodotti assicurativi ben determinati: in particolare, la disposizione in commento si riferisce ai contratti di assicurazioni sulla durata della vita umana, di nuzialità o di natalità le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio, di fondi interni o a indici o altri valori di riferimento (art. 2, comma 1, ramo III, c. ass.), nonché ai contratti relativi ad operazioni di capitalizzazione (art. 2, comma 1, ramo V, c. ass.). In sintesi, l’art. 178 c. ass. guarda solamente ai prodotti assicurativi cc.dd. [continua ..]


3.1. In particolare: i «giudizi di risarcimento dei danni»

Veniamo ora ad individuare i giudizi nei quali entrano in gioco gli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass.: la pronuncia in commento nega l’ap­pli­cabilità delle due disposizioni nei giudizi tesi ad ottenere l’annullamento del contratto per errore e ciò in ragione del tenore letterale delle medesime. Infatti, sia l’art. 23, ultimo comma, t.u.f. sia l’art. 178 c. ass. contemplano espressamente i soli «giudizi di risarcimento dei danni» cagionati al cliente nella prestazione di servizi di investimento o di servizi accessori, o al contraente dei prodotti assicurativi di cui al paragrafo precedente. Come si è detto supra par. 3, la sentenza della Suprema Corte è un unicum nel panorama giurisprudenziale, almeno per quel che riguarda l’art. 178 c. ass., mentre, con riferimento all’art. 23, ultimo comma, t.u.f., essa trova alcuni precedenti nella giurisprudenza di merito, per la quale «Deve escludersi […], atteso il chiaro tenore della norma in esame (“nei giudizi di risarcimento dei danni…”), che l’inversione dell’onere della prova possa trovare applicazione anche con riferimento alle azioni di accertamento e costitutive volte a far valere la invalidità del contratto come […] la domanda di accertamento della nullità ex art. 1418, comma 1, c.c. e quella di annullamento del contratto per errore-vizio: in tal caso, infatti, grava interamente sull’investitore la prova della contrarietà a norma imperativa e della sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1418 c.c. per la pronuncia si annullamento» [27]. La pronuncia in commento sposa una interpretazione strettamente letterale delle disposizioni di nostro interesse [28] e, ad una prima impressione, si potrebbe obiettare che la stessa non tiene in debito conto gli obiettivi perseguiti dal legislatore, ossia tutelare la parte “debole” del rapporto anche in sede processuale. Invero, va ricordato quanto accennato supra par. 2, ossia che gli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. rispondono al principio di vicinanza della prova [29] e, quindi, che la maggiore debolezza di una parte rispetto ad un’altra è presa in considerazione in una prospettiva esclusivamente processuale: in sintesi, i due articoli citati non tutelano il cliente in quanto tale, [continua ..]


4. Note conclusive sul rapporto tra gli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. e la regola generale di cui all’art. 1218 c.c.

Delineato l’ambito di applicazione degli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass., ed appurato che la pronuncia della Suprema Corte qui commentata pare condivisibile, occorre chiedersi se le disposizioni di cui si discute non siano superflue in ragione di quanto già previsto dalla normativa codicistica: come affermato anche dalla giurisprudenza di merito, gli articoli di nostro interesse contemplerebbero «la regola (già presente in ambito contrattuale, ai sensi degli artt. 1218 e 1176 c.c.) secondo cui l’onere della prova dell’esatto e corretto adempimento [...] è a carico del debitore» [35]. Invero, ad avviso di chi scrive, l’art. 23, ultimo comma, t.u.f., i suoi precursori e l’art. 178 c. ass. vanno tutti guardati in una prospettiva “storica” considerato che sono stati emanati quando era controversa l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 1218 c.c. ai giudizi in cui veniva contestato non già l’ina­dempimento del debitore, ma l’inesattezza del suo adempimento o la sua negligenza, in caso di obbligazione di mezzi [36]. Infatti, secondo un certo orientamento della Corte di Cassazione, la regola posta dall’art. 1218 c.c. operava solamente nell’ambito del vincolo obbligatorio rimasto inadempiuto e il creditore non poteva beneficiarne allorché contestasse l’esattezza dell’adem­pimento o la violazione di doveri accessori [37]. Orbene, le disposizioni di nostro interesse consentono di superare l’orien­tamento citato dal momento che impongono all’intermediario di dimostrare di «aver agito con la specifica diligenza richiesta», ossia quella di cui agli artt. 21, comma 1, lett. a), t.u.f. [38] e 183, comma 1, lett. a), c. ass. [39], espressione della regola generale contenuta all’art. 1176, comma 2, c.c. [40]. In sintesi, gli artt. 23, ultimo comma, t.u.f. e 178 c. ass. pongono in capo all’in­ter­mediario una “presunzione legale relativa di negligenza” [41] e offrono così tutela al cliente anche nel caso in cui contesti l’inesatto adempimento della propria controparte o la negligenza della stessa nell’adempimento di un’ob­bligazione di mezzi [42] (ed infatti in giurisprudenza ed in letteratura si è osservato come l’utilità delle [continua ..]


NOTE