Affinché il contratto di mutuo in favore del giocatore possa essere attratto alla disciplina dell’art. 1933 c.c., occorre che il mutuante partecipi direttamente al gioco in antagonismo con il mutuatario o con lui in un gioco di tipo collettivo. È necessario che il mutuante, pur non effettuando direttamente la giocata, sia in qualche modo anch’egli effettivo destinatario del risultato del gioco, avendo scelto, cioè, di correre l’alea tipica del gioco di azzardo.
So that the mortgage contract in favor of the player can be attracted to the discipline of art. 1933 c.c., the lender must participate directly in the game in antagonism with the borrower or with him in a collective game. It is necessary that the lender, while not performing the play directly, is in some way also the actual recipient of the result of the game, having chosen, that is, to run the risk typical of gambling.
1. La fattispecie all’esame della Cassazione - 2. La decisione della Suprema Corte - 3. I precedenti della giurisprudenza in tema di mutuo di gioco - 4. L’acquisto di fiches a mezzo di assegno bancario e la causa del contratto - 5. Teoria del collegamento negoziale e autonomia della causa del mutuo di gioco - 6. Conclusioni - NOTE
La vicenda processuale all’esame del Supremo Collegio prende origine da un ricorso per decreto ingiuntivo presentato da una casa da gioco nei confronti di un cliente, al fine di recuperare le somme portate in un assegno bancario emesso dal giocatore in cambio di fiches. Quest’ultimo si opponeva al decreto ingiuntivo reso dal Trib. di Venezia, invocando l’applicazione dell’art. 1933 c.c., sull’assunto che, trattandosi di debito di gioco, non sarebbe stato possibile azionare in giudizio la pretesa creditoria. Secondo la ricostruzione dell’opponente, in particolare, il creditore non avrebbe potuto pretendere il pagamento di un debito rispetto al quale la richiamata previsione codicistica ammette, al più, l’effetto della irripetibilità di quanto spontaneamente prestato dal debitore nei confronti del creditore. Il Tribunale, tuttavia, rilevava, da un lato, che l’assegno posto alla base del procedimento monitorio non era funzionalmente connesso all’attuazione dei giochi d’azzardo praticati all’interno della casa da gioco ed escludeva, dall’altro, che il titolo fosse stato consegnato in bianco, essendo stato provato che lo stesso dovesse sostituire precedenti assegni emessi, a loro volta, per l’acquisto di fiches. In definitiva, il giudice di prime cure riteneva che non vi fossero i presupposti per l’applicazione dell’art. 1933 c.c., trattandosi di somme versate a titolo di corrispettivo della vendita a credito di fiches, utilizzate dall’acquirente per partecipare a un gioco effettuato contro terzi giocatori. Il giocatore, quindi, impugnava la decisione innanzi alla Corte di Appello di Venezia la quale, però, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. Al debitore, pertanto, non rimaneva che rivolgersi alla Suprema Corte alla quale veniva prospettata l’assoluta illogicità e contraddittorietà della soluzione adottata dai giudici di merito secondo cui la disciplina dell’art. 1933 c.c. sarebbe applicabile solo nel caso in cui il giocatore giochi e perda direttamente con la casa da gioco mutuante, mentre nel caso in cui egli perda in giochi che si svolgono tra i giocatori, tutti clienti della casa da gioco, verrebbe meno per ciò solo il collegamento funzionale tra il contratto di gioco e quello avente ad oggetto la cessione di fiches, qualificabile, a seconda dei casi, come mutuo o come [continua ..]
A conferma dei suoi precedenti in argomento, il Giudice di legittimità ha respinto il ricorso presentato dal giocatore, negando la possibilità di estendere al contratto di mutuo concesso dalla casa di gioco al proprio cliente la previsione normativa dell’art. 1933 c.c. per il quale, com’è noto, secondo l’antica regola nec actio nec repetitio, non compete né azione per il pagamento di un debito di giuoco o di scommessa, né la possibilità di ripetere quanto spontanemente prestato. In particolare, non potrebbe invocarsi, nella specie, la teoria del collegamento negoziale per sottoporre anche il contratto di mutuo alle stesse conseguenze giuridiche del contratto di gioco [1]. In siffatta fattispecie, infatti, il mutuo non potrebbe essere ricondotto alla causa del contratto di gioco, in considerazione del fatto che non potrebbe instaurarsi una connessione funzionale tra i due contratti, atteso che per uno dei due (quello di gioco) non sarebbe configurabile alcuna produzione di effetti giuridici al di fuori della soluti retentio. Ad avviso della Suprema Corte, affinché il prestito di denaro o di fiches possa essere ricondotto al contratto di gioco disciplinato dall’art. 1933 c.c., si rende necessario che il mutuante partecipi direttamente al gioco contro o insieme al mutuatario. Pur non essendo necessario che colui che presta il denaro o le fiches effettui la giocata in prima persona, deve comunque trattarsi di una situazione in cui egli sia l’effettivo destinatario del risultato del gioco, avendo scelto, cioè, di correre il rischio tipico del contratto di gioco. Qualora, quindi, il mutuante non assuma tale rischio, il nesso relazionale tra la prestazione di quanto dato a mutuo e l’impiego della stessa per partecipare al gioco si spezza, e, di conseguenza, il mutuo resta un autonomo e separato negozio giuridico dotato di una propria causa, distinta da quella che caratterizza il contratto di gioco. Superando, quindi, un precedente orientamento della Suprema Corte del 2014 [2], l’ordinanza in esame precisa, da un lato, che non basterebbe a creare un collegamento tra i due negozi il mero interesse del mutuante ad incentivare la partecipazione del mutuatario al gioco e, dall’altro, che la mera consapevolezza della destinazione finale delle somme prestate è irrilevante. Ai fini dell’attrazione del mutuo al profilo causale del contratto di [continua ..]
Il tema del mutuo di gioco è stato già variamente trattato dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di occuparsene affrontando diversi profili e giungendo su posizioni sostanzialmente condivise. Una prima questione ha riguardato la validità stessa del contratto con il quale la casa di gioco concede prestiti in favore dei giocatori, al fine di consentire a questi ultimi di continuare a puntare. A fronte dei dubbi sollevati circa una possibile nullità di tale tipo di mutuo per contrarietà a norma imperativa, in quanto erogato da un soggetto non abilitato, la Cassazione ha, tuttavia, ritenuto che l’operazione mediante la quale i clienti vengono approvvigionati di fiches, pagandole in denaro contante o a mezzo di assegni, rientri a pieno titolo tra le attività consentite dalla legge alla casa da gioco. L’acquisto di fiches, per il tramite dell’emissione di assegni, in particolare, non configura un contratto nullo, in quanto l’operazione così realizzata non va qualificata come attività di finanziamento compresa tra quelle riservate alle banche o ad altri intermediari finanziari all’uopo autorizzati [3]. Ma la problematica sottoposta più frequentemente all’esame dei giudici di legittimità ha riguardato proprio quella decisa nel provvedimento in commento, vale a dire se sia possibile estendere al mutuo la disciplina dettata dall’art. 1933 c.c. in tema di contratto di gioco. Si è, cioè, ipotizzata la possibilità che, per il tramite della teoria del collegamento negoziale, il contratto di mutuo sia attratto a quello di gioco e, di conseguenza, risulti assoggettato alla relativa disciplina che nega al creditore la possibilità di agire in giudizio per far valere la sua pretesa. La Corte di Cassazione ha, sul punto, sviluppato col tempo un orientamento che ha progressivamente chiarito come l’attrazione del mutuo alla disciplina dettata per il contratto di gioco sia condizionata, non solo alla presenza di un mero interesse del mutuante a che il mutuatario giochi, ma alla partecipazione stessa del mutuante al gioco e alla diretta assunzione del rischio ad esso connessa [4]. E così, negli ultimi approdi dei giudici di legittimità si è avuto modo di precisare che “l’estensione della disciplina dell’art. 1933 c.c., riguardante i contratti di gioco, ai mutui a questi [continua ..]
Più controverso è, invece, l’inquadramento del fenomeno dei prestiti erogati dalle case da gioco in favore dei clienti, in quanto diverse sono le qualificazioni proposte con riferimento al contratto di acquisto delle fiches. Secondo un primo orientamento, in particolare, si tratterebbe di un deposito irregolare in virtù del quale il gestore del casinò consegna le fiches ai giocatori che ne facciano richiesta in cambio del versamento del loro controvalore in moneta avente corso legale. Se, invece, la consegna delle fiches avvenga a credito, vale a dire senza il contemporaneo versamento del loro controvalore, si sarebbe in presenza di un diverso contratto, nella specie rappresentato da un mutuo [8]. Per una diversa impostazione, però, l’acquisto di fiches andrebbe più propriamente qualificato come un contratto misto formato da un mutuo e da un deposito a garanzia [9], mentre, per altri ancora, si sarebbe di fronte una compravendita vera e propria, tant’è che il giocatore acquirente non sarebbe tenuto alla restituzione delle fiches alla casa da gioco [10]. Ma al di là dell’adesione all’una piuttosto che all’altra soluzione ermeneutica, ciò che sembra emergere, con tutta evidenza, è la netta distinzione tra due tipi di operazione che possono avere ad oggetto la cessione di fiches: da un lato, quella che si verifica nella generalità dei casi e che contempla la consegna dei gettoni a fronte del contestuale pagamento, da parte del giocatore, di un corrispondente controvalore di valuta avente corso legale e, dall’altro, quella in cui la casa da gioco, in ragione della fiducia che ripone nei confronti di una certa clientela, mette a disposizione del giocatore fiches a credito, senza cioè ricevere alcunché in cambio al momento della consegna delle stesse. È solo in questa ultima ipotesi che può astrattamente configurarsi un collegamento negoziale tra il contratto di gioco e quello con il quale la casa da gioco finanzia il cliente che, per ragioni contingenti, non è in grado in quel momento di provvedere al pagamento in contanti o con altri mezzi di pagamento. Si pone a questo punto la questione, che probabilmente avrebbe meritato un maggiore approfondimento da parte dell’ordinanza in commento, se, a fronte dell’acquisto di fiches per il tramite dell’emissione di un assegno [continua ..]
Se nella fattispecie dell’acquisto di fiches per il tramite di assegni bancari deve escludersi la configurabilità di un contratto avente causa di finanziamento concluso tra il giocatore e la casa di gioco, non può escludersi, invece, che una tale causa possa effettivamente venire in rilievo allorquando, per il particolare rapporto di fiducia che lega le parti, il casinò decida di concedere credito al proprio cliente, mettendogli a disposizione le fiches in cambio di una mera dichiarazione, con valore di riconoscimento del debito, a garanzia del pagamento delle somme mutuate. Il tema, com’è noto, ha impegnato la dottrina in un dibattito piuttosto vivace [13], innanzitutto, con riferimento alla questione della validità dei contratti di finanziamento collegati a quelli di gioco; validità che è stata riconosciuta solo dopo il definitivo superamento dei preconcetti morali che da sempre hanno accompagnato il gioco d’azzardo [14]. Una volta accettato di considerare validi ed efficaci i contratti di mutuo di gioco, la discussione degli studiosi si è concentrata sulla possibilità per il mutuante di agire in giudizio al fine di ripetere le somme date in prestito al giocatore mosso dal bisogno di liquidità per continuare a giocare [15]. La soluzione al problema, all’esito del serrato confronto, non è stata univoca, essendo destinata a mutare a seconda del fatto che il prestito sia erogato da uno dei giocatori in favore dell’altro oppure dalla casa da gioco che gestisce e organizza le giocate in favore dei propri clienti. È del tutto evidente, infatti, che, qualora il mutuo sia concluso tra giocatori che si sfidano tra loro, l’opzione di concedere al mutuante la possibilità di azionare giudizialmente la pretesa restitutoria condurrebbe ad una sostanziale elusione della regola sancita dall’art. 1933 c.c. che nega, come detto, l’azione in giudizio per ottenere il pagamento dei debiti di gioco [16]. Qualora un giocatore faccia credito al proprio antagonista, al fine di continuare a giocare, infatti, sussiste indiscutibilmente un collegamento funzionale tra il contratto di gioco e quello di mutuo, il quale, in definitiva, assumerebbe una funzione meramente ancillare rispetto al primo, degradando a mezzo rispetto al fine tipico del rapporto che si instaura con il gioco stesso. In altri termini, nella descritta [continua ..]
Dalle considerazioni fin qui svolte emerge come l’ordinanza in commento si ponga perfettamente in linea con i risultati maturati all’esito del lungo e mai banale dibattito, che ha coinvolto dottrina e giurisprudenza, sul tema del mutuo di gioco [22]. Viene, infatti, ribadito il principio di diritto secondo cui, a proposito di tale contratto, la teoria del collegamento negoziale non può essere utilmente invocata per giustificare l’applicazione dell’art. 1933 c.c. e, di conseguenza, l’esclusione dell’azione giudiziaria in capo al mutuante che intenda recuperare le somme mutuate dal giocatore. Secondo la Suprema Corte, in particolare, il collegamento negoziale sarebbe concepibile esclusivamente in presenza di una connessione funzionale, ravvisabile tra atti negoziali in grado di produrre effetti giuridici. Ma, poiché il contratto di gioco non sarebbe in grado di far sorgere alcuna obbligazione giuridica tra le parti, il collegamento tra tale contratto e quello di mutuo non consentirebbe la realizzazione di un fenomeno di attrazione della causa del mutuo a quella del gioco. Dal ragionamento seguito dai giudici di legittimità affiora, insomma, l’assunto per cui la riconduzione del mutuo alla causa del contratto di gioco possa avvenire solo ed esclusivamente se nella fattispecie concreta il mutuante sia egli stesso partecipe del gioco, assumendosi, quindi, anche il rischio del risultato che costituisce elemento essenziale e imprescindibile di ogni contratto aleatorio e, dunque, anche di quello di gioco. Non può quindi escludersi che, in via astratta, per il tramite del meccanismo del collegamento negoziale, la causa del contratto collegato (mutuo) possa essere attratta a quella del contratto principale (gioco) e, di conseguenza, che la disciplina del secondo si estenda al primo. Tuttavia, al fine di raggiungere siffatta conclusione pratica l’interprete è chiamato a valutare, da un lato, la natura del contratto collegato e, dall’altro, gli interessi che le parti, con la sua conclusione, hanno inteso perseguire [23]. Solo quando il mutuante decide di assumere il rischio tipico connesso alla puntata, l’alea che pervade il contratto di gioco finisce per connotare anche il mutuo. A questo punto il prestito che, di norma, configura un ordinario contratto commutativo dal quale sorge l’obbligo per il mutuatario di restituire le somme e da cui scaturisce la [continua ..]