Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
G. Giappichelli Editore

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La clausola claims made and reported: a proposito di alcune criticità nel trapianto giuridico (di Massimo Mazzola, Avvocato, Ph.D. Esperto presso IVASS e professore a.c. di Diritto assicurativo nel­l’Università di Trento)


Il saggio esamina struttura e funzione della clausola cd. claims made and reported, valutando le principali criticità del relativo trapianto nell’ordinamento interno, avuto particolare riguardo alla compatibilità della previsione con la disciplina dell’obbligo di avviso e della decadenza.

Claims made and reported clause: about some issues with the legal transplant

The essay examines structure and scope of the so-called claims made and reported clause, by evaluating some issues with its legal transplant in the italian juridical system, with a focus on the compatibility of the provision with the rules about notice requirement and forfeiture.

Keywords: long tail liability – insurance – legal transplant – notice requirement – forfeiture

SOMMARIO:

1. Introduzione. Il modello di copertura claims made and reported - 2. Clausole pure claims made e claims made and reported. Note comparative - 3. Il rapporto tra la clausola e l’obbligo di avviso ex art. 1913 c.c. - 4. Segue. La compatibilità con la disciplina della decadenza ex art. 2965 c.c. - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione. Il modello di copertura claims made and reported

Benché il problema della validità delle clausole claims made, nel prisma delle categorie ordinanti del diritto privato, sia divenuto oggetto di una riflessione ormai à la page, il relativo raccolto giurisprudenziale – nonostante la Cassazione vi abbia dedicato due pronunce a Sezioni Unite (rispettivamente, 6 maggio 2016, n. 9140 e 24 settembre 2018, n. 22437) – è, nell’at­tuale, ancora ben lungi da un sostanziale assestamento [1]. Esito, quest’ultimo, piuttosto preoccupante, considerate le sfavorevoli ricadute che ripetute dissociazioni pretorie, amplificate da un ricchissimo dibattito dottrinale, inevitabilmente determinano sulla concreta operatività dell’industria assicurativa, la cui salvaguardia, in termini di sostenibilità tecnica ed equilibrato esercizio, costituisce l’essenziale ragione che ha congiurato al successo del modello. Invero, le ordinarie formule di attivazione delle garanzie di responsabilità civile, connesse all’epoca di accadimento dell’illecito, vale a dire il sinistro [2] (modello c.d. act committed, di cui al vigente art. 1917, co. 1, c.c.) [3], ovvero alla produzione delle conseguenze dannose (modello c.d. loss occurence) [4], presentano inconvenienti in grado di compromettere seriamente il meccanismo del trasferimento assicurativo del rischio, ogniqualvolta la funzione attuariale si trovi a fronteggiare fattispecie di illecito caratterizzate da un considerevole scarto temporale intercorrente tra la manifestazione degli effetti dannosi e l’origine del processo eziologico dalla quale gli stessi sono occasionati [5]. Si ponga mente alle ipotesi di inquinamento ambientale, che sovente consegue a un accumulo progressivo di sostanze tossiche tendente ad una produzione e manifestazione del danno assai differite rispetto al tempo del «sinistro» (cd. «gradual pollution») [6], o ai pregiudizi provocati dall’utilizzo di prodotti difettosi o agli effetti collaterali di farmaci immessi in commercio, che possono determinarsi in un tempo nettamente posteriore rispetto al momento della diffusione sul mercato [7]. È il caso, ancora, delle ipotesi di responsabilità connesse a malpractice professionale, rispetto alle quali è dato sovente constatare una scissione temporale, talora anche molto ampia, tra l’epoca della condotta e quella della [continua ..]


2. Clausole pure claims made e claims made and reported. Note comparative

Di un tanto è ben consapevole, ormai da tempo, la giurisprudenza (pratica e teorica) maturata nel common law statunitense, ove il modello è stato oggetto di particolare attenzione. Ivi sono disponibili due tipologie di coperture su base claims made, ovvero la variante c.d. claims made and reported e quella c.d. pure claims made (da non confondere con la nostrana claims made c.d. pura): in questa seconda ipotesi, ai fini dell’attivazione della garanzia, è sufficiente che l’assicurato, durante la vigenza del contratto, sia sopraggiunto dal claim del danneggiato [15]. Prassi costante vuole che le Compagnie assicurative d’Oltreoceano, al fine di accertare tempestivamente cause e circostanze di quanto accaduto, e nel contempo limitare la dispersione del materiale probatorio a disposizione – nel solco della medesima ratio che informa l’obbligo di avviso previsto dall’art. 1913 c.c. – siano solite inserire nella polizza, a prescindere dal regime di copertura temporale adottato, una clausola che impone all’assicurato di dare notizia del sinistro verificatosi (a seconda del modello di copertura: fatto causale, evento lesivo ovvero richiesta risarcitoria) «as soon as practicable» (c.d. notice requirement) [16]. Siffatta previsione è da tenere ben distinta dal c.d. reporting requirement, proprio delle sole clausole claims made and reported, che fissa una precisa condizione temporale di operatività della copertura: in tal caso – come anticipato – la garanzia è destinata a operare soltanto in relazione alle richieste di risarcimento inoltrate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di assicurazione e denunciate da quest’ultimo all’assicuratore nel corso del medesimo periodo. La tradizionale regola che presiede l’obbligo di avviso è, tuttavia, temperata dalla c.d. Notice-Prejudice Rule, in forza della quale l’assicuratore non può negare l’indennizzo all’assicurato, sulla scorta della tardività dello stesso, qualora il mancato ossequio al termine temporale previsto non abbia al primo cagionato alcun pregiudizio [17]. Giurisprudenza costante è orientata a e­scludere che l’applicazione di tale regola possa estendersi anche all’even­tuale inottemperanza al reporting requirement [18]. La ragione è chiara. Ché, ogniqualvolta [continua ..]


3. Il rapporto tra la clausola e l’obbligo di avviso ex art. 1913 c.c.

Il modello claims made è un vero e proprio leading example di trapianto giuridico. Elaborato in seno al mercato assicurativo inglese, è circolato nel­l’ordinamento nord-americano, per poi diffondersi piuttosto rapidamente sulla scena internazionale [25]. Al riguardo, è appena il caso di rammentare che la dottrina comparatista ha ormai da tempo raggiunto sufficiente cognizione circa le difficoltà che un istituto giuridico di importazione incontra nel trapianto delle sue soluzioni entro le categorie normative e dogmatiche proprie del contesto di recezione, vieppiù nei casi in cui quest’ultimo sia connotato da un significativo tasso di positivismo normativistico [26]. Non ha fatto eccezione il caso delle coperture su base claims made, tacciate di aperto contrasto con il modello di assicurazione contro la responsabilità civile prefigurato dall’art. 1917, co. 1 [27], ovvero con la disciplina di cui all’art. 1895 c.c., che fissa il principio cardine della sussistenza del rischio all’atto di stipula del contratto. Entrambe le obiezioni sono state agevolmente superate. Sotto il primo profilo, di là dal fatto che l’art. 1917 c.c., co. 1, non risulta tra le disposizioni inderogabili ex art. 1932 c.c. [28], si è correttamente rilevato che la gestione del rischio su base claims made assolve esattamente alla medesima funzione delle garanzie tradizionali, ovvero il trasferimento finanziario del rischio di responsabilità civile dall’assicurato all’assicuratore. Vincolando il periodo di efficacia della copertura alla richiesta risarcitoria del terzo – sic et simpliciter, ovvero anche alla data del sinistro, in caso di formula c.d. impura [29] – le parti derogano, in ragione delle esigenze rilevanti di volta in volta, soltanto alla previsione del legislatore che vorrebbe il «tempo dell’assi­cu­ra­zione» coincidente con la durata formale del contratto, cioè con il periodo intercorrente tra la conclusione del contratto e la scadenza da esso stabilita [30]. Il riconoscimento normativo del modello ha dissipato ogni dubbio al riguardo [31]: invero – come rilevato dalle Sezioni Unite, nella pronuncia n. 22437/2018 – «nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.) del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato art. 1917 (ossia dello schema [continua ..]


4. Segue. La compatibilità con la disciplina della decadenza ex art. 2965 c.c.

In questo torno di questioni, si colloca tangenzialmente l’ordinanza della Suprema Corte, sez. III, del 13 maggio 2020, n. 8894 [44]. La clausola attenzionata nella pronuncia non è agevolmente inquadrabile in termini sistematici: nella fattispecie, era previsto l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute durante il vigore della copertura, ma a condizione che: «a) vi fosse stata richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta richiesta di risarcimento, entro dodici mesi dalla cessazione del contratto, l’as­sicurato avesse denunciato il sinistro alla compagnia». Parrebbe trattarsi – pur mantenuto il beneficio del dubbio, considerato che il dettato contrattuale non è stato testualmente riportato – di una peculiare forma di clausola claims made and reported: la garanzia sarebbe stata, infatti, destinata a operare in relazione alle richieste di risarcimento inoltrate all’assicurato durante il periodo di assicurazione, ivi compresa l’estensione annuale della copertura, e denunciate nel corso del medesimo periodo da quest’ultimo all’assicu­ratore [45]. Secondo la Cassazione, in tale ipotesi, il contrasto con l’art. 2965 c.c. sarebbe palmare. Invero, l’eccessiva difficoltà di esercizio del diritto, sanzionata dalla predetta disposizione, non andrebbe valutata «in termini temporali, nel senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro al­l’as­sicurazione, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l’assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire». Tale esito decisorio si attira almeno due censure. Anzitutto, che l’assicurato non possa contribuire, tramite una propria condotta, al­l’o­pe­ra­ti­vità della garanzia, è condizione propria dell’intero genus “assicurazione contro i danni”, entro il quale è da ricomprendersi l’assicurazione contro la responsabilità civile: come noto, l’eventuale assicurazione del fatto doloso – cui è da [continua ..]


5. Conclusioni

Per tirare le fila. La variante contrattuale considerata pare linearmente compatibile con l’assetto positivo di riferimento. Ancora una volta, se da un lato i dubbi circa la validità del modello e delle sue varie (dis)articolazioni rappresentano il fisiologico portato di un processo di trapianto, che – per sua definizione – non può essere del tutto indolore, è altresì vero che una lettura culturalmente provveduta del fenomeno avrebbe evitato (o almeno contenuto) diversi e significativi malintesi. A fronte di un «diritto sempre più giurisprudenziale che soppianta quell’idea di legalità nel settore che attribuiva la palma della supremazia al legislatore, alla vigilanza e all’autoregolamenta­zione (…) l’autorità giudiziaria non può trascurare gli effetti delle sue azioni e non farsi carico dei costi che le sue decisioni hanno sul sistema bancario, finanziario e assicurativo» [51]: gli è, allora, che decisioni – quali quelle avvicendatesi nel corso degli anni intorno alle clausole claims made – spensieratamente ignare, anche in termini comparativi, delle principali linee del dibattito, debbono essere con vigore stigmatizzate, non solo a tutela del rigore sistematico, quanto di una consapevole regolazione del mercato di cui, per l’appunto, la giurisprudenza è nevralgico presidio.


NOTE