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1. Ripartiamo dai fondamentali - 2. Un errore reiterato - 3. Contratti con premio unico o rateizzato - 4. Contratti con clausola di regolazione del premio - 5. Precedenti poco convincenti - NOTE
Allora, facciamo una simulazione. Immaginiamo che Tizio stipuli un’assicurazione contro i danni, con previsione di pagamento rateale del premio; che il 1° aprile scada la rata di premio; che dunque il 16 aprile scada il termine di grazia di cui all’art. 1901 c.c., senza che la rata di premio sia stata pagata. Immaginiamo, ancora, che il 20 aprile si verifichi un sinistro teoricamente rientrante fra quelli assicurati. Potrebbe l’assicurato, in questo caso, pretendere l’indennizzo assicurativo? No, certo, ché a quella data la copertura sarebbe stata sospesa: art. 1901 c.c. E l’assicuratore, dal canto suo, avrebbe diritto di pretendere il premio scaduto il 1° aprile e non pagato? Sì, certo, dal momento che quel premio resta dovuto sempre e per più ragioni: a) perché il premio va pagato anticipatamente, in virtù del principio di mutualità (il premio puro non remunera l’assicuratore, serve a precostituire la provvista per consentirgli di far fronte cui è sottesa l’inversione del ciclo produttivo); b) perché lo stesso art. 1901 c.c., prevedendo la risoluzione del contratto se l’assicuratore entro sei mesi dal mancato pagamento del premio “non agisce per la riscossione”, implicitamente ammette che i premi scaduti e non pagati restino dovuti. Bene, abbiamo dunque raggiunto questo risultato: che nel sistema della legge (art. 1901 c.c.), se l’assicurato non paga la rata di premio si verificano queste due conseguenze: a) il premio resta dovuto; b) l’indennizzo non è dovuto per i sinistri verificatisi a partire dal 15° giorno successivo alla mora dell’assicurato.
Se dunque questo è il sistema della legge, nulla ci sarebbe di illegittimo in una clausola che lo duplicasse, stabilendo che in caso di mancato pagamento del premio l’assicurato non abbia diritto all’indennizzo, ma il premio scaduto resti comunque dovuto. Ma se proprio si volesse, con l’acribìa d’un causidico, mettersi a cercare in una clausola siffatta una ragione di nullità, solo una se ne potrebbe trovare: la sua manifesta inutilità, dal momento che essa non farebbe che ripetere inutilmente la disciplina legale. Eppure, la sentenza qui in rassegna non l’ha veduta così, ed ha dichiarato nulla una clausola la quale prevedeva, in caso di mancato pagamento del premio, la sospensione del contratto e l’obbligo dell’assicurato di pagare il premio omesso. È un’affermazione, a sommesso avviso di chi scrive, non condivisibile in alcun modo: né nei contratti a premio unico, né in quelli a premio rateizzato, né in quelli – come era nel caso di specie – con clausola di regolazione del premio. Il principio affermato dalla Suprema Corte, infatti, oltre ad essere senza costrutto, non potrebbe mai portare ad alcun effetto utile per l’assicurato, dal momento che la caducazione della clausola imporrebbe l’applicazione delle previsioni di legge, e le previsioni di legge da applicare avrebbero il medesimo contenuto della clausola dichiarata nulla. Per spiegare queste affermazioni partirò dalla fattispecie concreta. Una società commerciale stipulò un contratto di assicurazione del credito. Come è d’uso in questo tipo di contratti, la polizza prevedeva una clausola di regolazione del premio. Questo era dovuto in una parte fissa, ed in una parte variabile, dipendente dalla misura del fatturato della società assicurata. La parte variabile doveva essere comunicata dall’assicurata all’assicuratore entro un certo termine prestabilito. Secondo quanto si legge nello “svolgimento del processo” della sentenza che si annota, il contratto prevedeva che il ritardo “nella notificazione del fatturato avrebbe determinato la sospensione della garanzia con esclusione definitiva dalla copertura dei crediti scaduti e non pagati durante la sospensione, restando dovuta la porzione di premio evasa”. Accadde tuttavia che l’assicurata omise di comunicare [continua ..]
Come ho provato a riassumere nella premessa, in un contratto di assicurazione contro i danni con previsione di pagamento del premio unico o rateizzato, è la legge a stabilire che in caso di mancato pagamento del premio o della rata di esso: a) la garanzia sia sospesa; b) i sinistri avvenuti durante la garanzia non sono indennizzabili; c) resta fermo l’obbligo dell’assicurato di pagare il premio. La disciplina sopra riassunta è dettata in modo inequivoco dall’art. 1901 c.c., ed è conseguenza necessaria della struttura del contratto di assicurazione. Questo contratto infatti si fonda su pochi e irrinunciabili princìpi: –) la comunione dei rischi, in virtù del quale ciascun assicurato sopporta un frammento del costo complessivo di tutti i sinistri; –) l’inversione del ciclo produttivo, in virtù del quale l’assicuratore, per essere messo in condizione di pagare gli indennizzi a tutti i propri assicurati, deve incassare il premio anticipatamente. Comunione dei rischi e inversione del ciclo produttivo sono le ragioni per le quali l’obbligo dell’assicurato di pagare il premio resta invariato anche nell’ipotesi di sospensione dell’efficacia del contratto ex art. 1901 c.c.: quel pagamento, infatti, serve non solo e non tanto al singolo assicurato per godere della garanzia, ma serve anche e soprattutto a tutti gli altri assicurati contro il medesimo rischio, perché destinato a confluire nella riserva con cui l’assicuratore dovrà provvedere ad indennizzare tutti i sinistri che si dovessero verificare nel periodo assicurativo. La ratio della norma che prevede la risoluzione automatica del contratto, in caso di inerzia ultrasemestrale dell’assicuratore nell’agire per riscuotere i premi insoluti, è dunque soltanto quella di rendere meno gravosa la posizione dell’assicurato, evitando che l’assicuratore, per lungo tempo inerte nel curare la riscossione del premio, possa mantenere in vita un rapporto da cui egli ritrae un esclusivo vantaggio, a seguito del persistere dell’obbligo dell’assicurato, decorso il periodo di tolleranza, di pagare il premio per l’intero periodo assicurativo, nonostante la cessazione della copertura del rischio [1]. Una ratio, come si vede, [continua ..]
Non convincente è la sentenza che qui si annota anche con riferimento al caso concreto da essa deciso, e cioè un contratto di assicurazione del credito con clausola di regolazione del premio. Qui tuttavia il discorso deve essere più approfondito, perché l’errore commesso dalla Corte viene da lontano. La clausola di regolazione del premio è il patto con cui le parti concordano un premio minimo standard, suscettibile di variare proporzionalmente col variare del rischio (ad esempio, proporzionalmente all’aumento dei dipendenti dell’impresa gestita dall’assicurato, ovvero proporzionalmente al volume di affari di quest’ultimo). In virtù di tale patto, il pagamento nella misura standard avviene al momento di conclusione del contratto, mentre alla scadenza prefissata (normalmente, la scadenza del periodo assicurativo) le parti procedono al conteggio degli elementi variabili ed agli eventuali conguagli. Naturalmente, perché tale meccanismo possa operare, è necessaria la leale collaborazione dell’assicurato, tenuto a comunicare periodicamente all’assicuratore la esatta variazione degli elementi da cui dipende la variazione del premio. Nei contratti con clausola di regolazione del premio, pertanto, l’assicurato assume due obbligazioni: non solo pagare il premio, ma anche comunicare tempestivamente all’assicuratore le variazioni degli elementi posti a base del calcolo del premio. Questo tipo di clausole pone dunque tre problemi: a) che accade se l’assicurato non paga il premio fisso; b) che accade se l’assicurato comunica i dati variabili, ma non paga il conguaglio di premio; c) che accade se l’assicurato non comunica i dati variabili. Delle due prime ipotesi nessuno dubita della risposta: sia che non venga pagata la quota fissa, sia che non venga pagata la quota variabile, si applicherà l’art. 1901 c.c.: il contratto è sospeso ed i premi restano dovuti. I problemi sono sorti invece con riferimento alla terza ipotesi: quella in cui l’assicurato non comunica i dati variabili nel termine contrattualmente stabilito. Per lungo tempo la Corte di Cassazione scelse la soluzione (ad avviso di chi scrive) più limpida, lineare e coerente: la comunicazione dei dati variabili costituisce un’obbligazione accessoria rispetto a quella di pagamento del premio. [continua ..]
Mi si dirà: ma la sentenza qui in rassegna si è richiamata a ben tre precedenti conformi; esiste dunque un orientamento consolidato in tal senso. Non mi soffermerò a confutare lo sciocco principio per cui communis error facit ius, ma qualche riserva sui precedenti evocati dalla sentenza in esame va rilevata. La sentenza qui in rassegna richiama, a sostegno delle conclusioni raggiunte, le decisioni pronunciate da Cass. civ., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18525, in questa Rivista, 2008, II, 2, 96; Cass. civ. [ord.], Sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 26783, ivi, 2012, II, 85; Cass. civ., Sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28472, ivi, 2014, 134. Iniziamo dalla più antica, Cass. 18525/07. È una sentenza che aveva ad oggetto una opposizione al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dall’assicuratore per il pagamento del premio. L’opposizione venne proposta dall’assicurato che, in via riconvenzionale, domandò il pagamento dell’indennizzo. L’assicuratore contrastò la domanda riconvenzionale invocando la sospensione del contratto sulla base d’una certa clausola. La sentenza di cui si discorre non si perita di farci sapere: –) cosa prevedesse tale clausola; –) soprattutto, se il sinistro avvenne durante il periodo di sospensione, prima o dopo. Pare incredibile, ma è così. La Cass. 18525/07 si limita a rigettare l’eccezione dell’assicuratore (rectius, a cassare la sentenza di merito che l’aveva accolta) affermando: “la clausola che, come quella contenuta nell’art. 15 c.g.a., contempli la persistente esigibilità dei premi assicurativi e la decadenza dell’assicurato dal diritto di pretendere l’indennizzo si traduce in una deroga [all’art. 1901 c.c.] sfavorevole all’assicurato in quanto lo espone al pagamento del corrispettivo per un periodo in cui manca la prestazione dell’assicuratore (Cass. 29 settembre 1993, n. 9758, con riferimento ad un’ipotesi simile)”. Questa sentenza, che fu la capostipite di tutti gli errori successivi, non solo nulla ci dice sul fatto che era chiamata a giudicare (quale fosse il contenuto della clausola); non solo compie una affermazione apodittica ed immotivata (la motivazione si concentra tutta nel passo sopra trascritto); ma soprattutto invoca quale precedente “su ipotesi [continua ..]