MASSIMA
Le somme che l’ente gestore di assicurazione sociale – nella specie, l’INPS – abbia liquidato al danneggiato a titolo di rendita per l’invalidità civile vanno detratte dall’ammontare dovuto, allo stesso titolo, dal responsabile civile al medesimo danneggiato, giacché quest’ultimo verrebbe altrimenti a conseguire un importo maggiore di quello cui ha diritto (1).
INDICAZIONI
(1) La sentenza si segnala all’attenzione del lettore perché parrebbe slargare ulteriormente l’àmbito della compensatio lucri cum damno, rispetto a quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con le note sentenze “di Santa Rita”, di cui questa Rivista ha già dato conto (Cass. civ. Sez. Un., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566 e 12567; la seconda di tali decisioni – le altre sono conformi – può leggersi in questa Rivista, 2018, II, 47, con nota di G. Losco).
Le quattro sentenze appena ricordate, in particolare, avevano stabilito che:
(a) il danno patrimoniale consistente nelle spese di cura rese necessarie da lesioni personali (nella specie, causate da errore medico) va liquidato previa sottrazione del valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto (Cass. Sez. Un., 12567/18, cit.);
(b) il danno biologico patito da un lavoratore va liquidato previa sottrazione dell’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL (Cass. civ., Sez. Un., 12566/18, cit.);
(c) il danno patrimoniale patito dalla vittima d’un fatto illecito va liquidato previa detrazione dell’importo da questa ricevuto dal proprio assicuratore contro i danni (Cass. civ., Sez. Un., 12565/18, cit.);
(d) il danno patrimoniale patito dalla vedova di persona deceduta per colpa altrui va liquidato senza detrarre dal redito risarcitorio il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’INPS al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo (Cass. civ., Sez. Un., 12564/18, cit.).
Le Sezioni Unite non avevano dunque preso in esame la questione della detraibilità dal credito risarcitorio della “pensione di inabilità” erogata dall’INPS. Lo ha fatto, invece, la sentenza qui in rassegna, la quale ha confermato la decisione di merito che aveva detratto, dal credito risarcitorio spettante alla vittima, l’importo da questa percepito a tale titolo dall’INPS.
Si tratta tuttavia d’una decisione che sembra porre all’interprete ulteriori dubbi circa l’applicabilità in casi come quello di specie della compensatio lucri cum damno.
Si apprende infatti dalla motivazione della sentenza qui in rassegna che il giudice di merito aveva:
–) accordato alla vittima il risarcimento del danno biologico;
–) negato alla vittima il risarcimento del danno da perdita della capacità di guadagno, per difetto di prova (si trattava del gestore di una concessionaria di autoveicoli che aveva perduto una gamba);
–) defalcato dal credito risarcitorio vantato dalla vittima l’importo della “pensione di inabilità” pagata dall’INPS.
Parrebbe dunque che il giudice di merito avesse sottratto le somme pagate dall’INPS dal credito per il risarcimento del danno biologico.
Ma se così è davvero avvenuto, non sembra cha la decisione adottata dal giudice di merito possa ritenersi conforme ai princìpi dettati dalle Sezioni Unite nelle quattro sentenze sopra ricordate.
Le provvidenze economiche attribuite per legge agli invalidi civili si dividono infatti in due categorie:
(1) provvidenze erogate sulla base di un rapporto assicurativo-sociale, come tali pagate solo a coloro che hanno versato (o per i quali sono stati versati) contributi previdenziali;
(2) provvidenze erogate a tutti i cittadini.
Le provvidenze erogate sulla base di un rapporto assicurativo sociale sono la “pensione ordinaria di inabilità”, spettante ai lavoratori che a causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa (art. 2, comma 1, l. 12 giugno 1984, n. 222), e l’“assegno ordinario di inabilità”, spettante ai lavoratori la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle proprie attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo (art. 1, comma 1, l. 12 giugno 1984, n. 222).
Le principali provvidenze erogate dall’INPS a prescindere dalla preesistenza di un rapporto assicurativo sociale (e dunque a prescindere dal pagamento di contributi previdenziali) sono invece:
(b) l’“assegno mensile”, spettante alle persone di età compresa tra 18 e 64 anni, ed affetti da incapacità lavorativa superiore al 74% (art. 13, comma 1, l. 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dagli artt. 1 e 8 d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509);
(c) l’“indennità di accompagnamento”, spettante alle persone che si trovano “nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua” (art. 1, comma 1, l. 11 febbraio 1980, n. 18).
Come si vede, le prestazioni erogate dall’INPS in favore degli invalidi civili si fondano tutte sul presupposto dell’esistenza d’un pregiudizio patrimoniale, che è presunto juris et de jure, rappresentato dalla perduta capacità di lavoro e, quindi, di guadagno; per contro, l’INPS in nessun caso indennizza agli invalidi civili il danno alla salute.
Ora, nelle quattro sentenze sopra ricordate, le Sezioni Unite della S.C. hanno stabilito che il principio della compensatio può applicarsi solo in presenza di determinati requisiti, e tra questi in particolare due: che l’erogazione in favore della vittima abbia uno scopo lato sensu risarcitorio, e che vada a ristorare il medesimo pregiudizio per il quale la vittima ha acquisito un credito risarcitorio (si veda anche, in tal senso, Cass. 15870/19, in questo stesso numero della Rivista). Ne consegue che, in applicazione di tali princìpi, l’importo della pensione di inabilità erogata dall’INPS ai sensi della l. 222/84 o della l. 118/71, sopra ricordate, potrebbe teoricamente essere detratto solo dal credito risarcitorio vantato dalla vittima a titolo di ristoro del danno patrimoniale.
Nel caso di specie, per contro, con la sentenza qui in rassegna la Corte di cassazione ha confermato la decisione di merito con cui l’importo della pensione di inabilità era stato detratto dal credito risarcitorio per danno biologico: il che vuol dire che si è compensato un lucro destinato a ristorare un pregiudizio patrimoniale con un danno di natura non patrimoniale.
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