Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Spunti sul problema dell'onere della prova nel contenzioso assicurativo (di Massimo Mazzola, Avvocato, Ph.D. Esperto presso IVASS e Professore a contratto di Diritto assicurativo presso l'Università degli Studi di Trento)


Lo scritto si propone di offrire una riflessione critica, a partire dalle regole processuali di riferimento, circa le principali questioni inerenti al riparto degli oneri probatori nell’ambito del contenzioso assicurativo, in considerazione del variegato quadro giurisprudenziale sul tema.

Thoughts on the problem of the burden of proof in the insurance litigation

The essay aims to offer a critical reflection, starting from the reference procedural rules, on the main issues about the distribution of the burden of proof in the context of the insurance litigation, given the varied jurisprudential framework on the subject.

SOMMARIO:

1. Premessa. Il punto di vista della giurisprudenza di legittimità - 2. Domanda, mere difese ed eccezioni: il riparto dell’onere della prova nell’azione di esatto adempimento dell’assicurato - 3. La prova del massimale e del suo esaurimento - 4. L’inadempimento all’obbligo di pagamento del premio - 5. L’eccezione relativa alle dichiarazioni inesatte e reticenti: la prova dei fatti noti e del relativo nesso causale con il rischio verificato - NOTE


1. Premessa. Il punto di vista della giurisprudenza di legittimità

Il problema della distribuzione dei carichi probatori nel processo civile rinviene una declinazione di parte speciale nell’ambito del contenzioso assicurativo. Che, avuto particolare riguardo a controversie relative a pretese di esatto adempimento del contratto, consegna all’interprete ampi margini di riflessione intorno all’applicazione delle categorie ordinanti che informano la tematica. I precedenti in materia, su cui a più riprese si è arrestata la Suprema Corte, registrano, infatti, orientamenti divergenti. Il “leading case” – siccome potrebbe definirsi, avendo trovato largo seguito nella giurisprudenza di merito – è rappresentato dalla decisione della III sezione n. 1558/2018 [1]. Nel caso di specie, l’assicurato conviene l’im­presa, lamentandone l’inadempimento all’obbligo di corresponsione dell’in­dennizzo, a valere su una polizza infortuni, giusto un sinistro stradale che gli aveva provocato gravi lesioni personali. L’assicuratore si costituisce, eccependo l’inefficacia della copertura e contestando la dinamica dell’in­fortunio, come rappresentata dall’attore. Il Tribunale di Trieste accoglie la domanda con decisione che, tuttavia, viene riformata dal giudice del gravame, sulla scorta dell’approssimativa ricostruzione fattuale del sinistro, essenziale al fine di valutare l’effettiva operatività della garanzia, ché avrebbe escluso gli infortuni derivanti da «partecipazioni a corse e gare comportanti l’uso di veicoli a motore». L’assicurato, quindi, propone ricorso per Cassazione, articolando plurime censure. Per quanto qui d’interesse, quest’ultimo lamenta la violazione degli artt. 1362 e 2697 c.c., deducendo che, a tenore di contratto, l’assicuratore sarebbe stato tenuto all’indennizzo per infortunio, quale «evento dovuto a casa fortuita, violenta ed esterna che produca lesioni corporali obiettivamente constatabili»; d’altro canto, la garanzia avrebbe previsto che la copertura fosse valida per gli infortuni subiti sia nello svolgimento delle attività professionali dell’assicurato che «di ogni altra normale attività». Sicché – secondo la prospettazione attorea – l’assicurato avrebbe avuto soltanto l’onere di provare il verificarsi dell’infortunio e [continua ..]


2. Domanda, mere difese ed eccezioni: il riparto dell’onere della prova nell’azione di esatto adempimento dell’assicurato

Qualche preliminare notazione di carattere sistematico è dovuta. Secondo l’art. 2697 c.c., «Chi vuol far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». La disposizione è funzionale, anzitutto, a ripartire tra le parti l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle loro pretese (c.d. onere della prova in senso soggettivo) e, in secondo luogo, a permettere al giudice di emettere, in ogni caso, una pronuncia, di accoglimento o di rigetto della domanda, in dipendenza del soddisfacimento o meno dell’onere (c.d. onere della prova in senso oggettivo) [7]. Riletta in controluce, la previsione ripartisce il rischio della mancata prova: non avere assolto l’onere della prova significa non avere fornito elementi sufficienti per conseguire il convincimento del giudice sulla verità dei fatti allegati [8]. L’indicazione dei fatti alla base del diritto che l’attore intende far valere congiura primariamente alla definizione dell’oggetto della domanda [9]. Sull’identificazione contenutistica della ragione del domandare – la c.d. causa petendi – è sorto un articolato dibattito, nato Oltralpe e nell’oggi di fatto esaurito, che ha contrapposto la dottrina, divisa tra la teoria della “sostanziazione”, che concentra la portata individuatrice della domanda nell’acca­dimento storico allegato dall’attore, e la teoria dell’“individuazione”, che invece fa riferimento all’indicazione, da parte dell’attore, della norma giuridica entro cui il giudice dovrebbe sussumere il materiale di causa [10]. Tuttavia, che la causa petendi non possa consistere nella indicazione, da parte dell’attore, della fattispecie legale per il cui tramite il giudice deve procedere a sussunzione, risulterebbe inconfutabile giusto il principio, immanente al processo, iura novit curia [11]. Nondimeno, la prospettazione dei fatti impone un profilo giuridico in grado di sceverare gli accadimenti rilevanti nel­l’insieme indistinto dell’esperienza storica. A ben vedere, come «due facce della stessa realtà» [12], le due prospettive finiscono per convergere, attribuendosi la funzione individuatrice del titolo giustificativo ai fatti come produttivi di un effetto giuridico, secondo una prospettazione di parte non vincolante e che [continua ..]


3. La prova del massimale e del suo esaurimento

Un tema di prova su cui non si registra uniformità di vedute, tanto in sede di giurisprudenza pratica quanto in quella teorica, attiene alla qualificazione dell’ec­cezione relativa all’esistenza, ovvero al superamento (in corso di giudizio) del massimale, che è il limite convenzionale che le parti pongono all’ammontare della prestazione indennitaria nell’assicurazione di responsabilità civile [46]. Il problema non si pone, per il vero, nelle ipotesi di vertenze relative al sistema di responsabilità obbligatoriamente assicurata per la circolazione di veicoli a motore, nella fattispecie disciplinata dalla L. n. 990 del 1969, artt. 19 e 21 (v. ora art. 283 cod. ass.), in cui il diritto del danneggiato al risarcimento nasce limitato per volontà di legge, con la conseguenza che il relativo limite del massimale, entro il quale è tenuta la compagnia designata, non rappresentando un mero elemento impeditivo od estintivo, ma valendo per l’appunto a configurare e a delimitare normativamente il suddetto diritto, è rilevabile, anche d’ufficio, dal giudice, e deve essere riferito alla tabella vigente al momento in cui il danno si è verificato. Invero, i decreti con i quali sono stati modificati i limiti dei massimali di legge indicati nella allegata tabella “A”, richiamata dal citato art. 21, hanno natura di atti normativi, sebbene non di rango primario, e, quindi, si presumono noti al giudice e non hanno bisogno di essere provati dalla parte interessata [47]. In disparte tale peculiare eventualità, secondo la più recente posizione della Cassazione, la difesa dell’assicuratore, che opponga il limite del massimale, rappresenterebbe tecnicamente un’eccezione. Il limite del massimale, infatti, non costituisce elemento essenziale del contratto di assicurazione, né vale quale fatto generatore del credito assicurato, ma si configura, piuttosto, come elemento limitativo dell’obbligo dell’assicuratore, sicché graverebbe su quest’ultimo l’onere di allegarne e provarne l’esistenza e l’entità [48]. A tale conclusione dovrebbe giungersi anche in ambito RCA, ove la domanda venga avanzata nei confronti dell’assicuratore in bonis, poiché la sussistenza e l’entità del massimale, sia pure nel rispetto dei limiti minimi di legge, dipende dalla libera [continua ..]


4. L’inadempimento all’obbligo di pagamento del premio

Un’ulteriore e signficativa applicazione dei principi in esame, concerne la valutazione dell’adempimento dell’obbligazione principale posta a carico del contraente [55], relativa al pagamento del premio. Come noto, una volta che questi ha consegnato (o spedito) la proposta scritta, le cui condizioni sono di regola predeterminate dalla Compagnia, decorre il termine pari a 15 giorni (ovvero 30, quando occorre un accertamento medico) previsto a favore dell’assicuratore, onde consentirgli di valutare la convenienza dell’affare, determinare la tariffa e addivenire alla conclusione del contratto (art. 1887 c.c.), che è determinata dalla convergenza delle manifestazioni di volontà delle parti, a prescindere, salvo diversa pattuizione, dalla consegna dei documenti. Tuttavia, ai sensi dell’art. 1899 c.c. – disposizione non applicabile alle assicurazioni sulla vita – è previsto che il contratto inizi a produrre effetti a partire dalle ore 24 del giorno della sua conclusione. Ciò non significa, si badi, che dal momento in cui viene formalmente perfezionandosi il contratto, la copertura sia attiva, in quanto il “trasferimento” del rischio in capo all’assicuratore è espressamente ricollegato all’avvenuto pagamento del premio (artt. 1901, comma 1, c.c. e 1924 c.c.). Opportunamente, si distingue tra durata “formale” e durata “materiale” dell’assicurazione: con la prima locuzione si intende il lasso di tempo intercorrente tra la data di conclusione del contratto e quella del suo scioglimento, mentre la seconda si riferisce al periodo di efficacia della garanzia che viene ricollegata – quale inveramento del meccanismo di inversione del ciclo produttivo – all’adempimento del­l’obbligo, posto in capo all’assicurato, di pagare il premio [56]. Da questo punto di vista, la fattispecie “garanzia” o “copertura assicurativa”, derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 1882 e 1901 c.c. (ovvero 1924 c.c., per l’assicurazione sulla vita), non solo non può dirsi produttiva di effetti, ma nemmeno perfezionatasi e, quindi, completa, sino al momento in cui il premio è stato versato [57]. Secondo la recente decisione della Cassazione n. 4357/2022 [58], il rilievo del mancato pagamento del premio assicurativo – secondo il tradizionale [continua ..]


5. L’eccezione relativa alle dichiarazioni inesatte e reticenti: la prova dei fatti noti e del relativo nesso causale con il rischio verificato

Da ultimo, merita considerare il problema dell’eccezione relativa alle reticenze e alle dichiarazioni inesatte del contraente in relazione alla descrizione del rischio durante la fase precontrattuale. Non v’è dubbio che tale difesa dell’assicuratore integri un’eccezione in senso stretto, tanto nel caso di inesattezze o reticenze riconducibili a uno stato soggettivo di dolo o colpa grave (art. 1892 c.c.), quanto per quelle c.d. di buona fede (art. 1893 c.c.), nell’un caso costituendo la proiezione difensiva di una fattispecie che potrebbe dare luogo all’esercizio di un’azione costitutiva e, nell’altro, al diritto potestativo di recesso. All’assicuratore spetta di provare che la dichiarazione sia inesatta o reticente e, ad un tempo, che abbia influito sulla formazione del proprio consenso; per la fattispecie di cui all’art. 1892 c.c., deve essere altresì provato che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave [71]. Si consideri, in merito, che detta prova può essere fornita con ogni mezzo, cioè anche per presunzioni, il che – come puntualmente rilevato in dottrina – può condurre ad aspre dispute in sede contenziosa, in particolare nel caso in cui venga in rilievo l’attivazione di una copertura su base claims made con garanzia pregressa [72]. Infatti, l’assicuratore, venendo ad assumere in rischio anche eventuali richieste di risarcimento derivanti da un evento passato, potrebbe con facilità eccepire la reticenza dell’assicurato circa tale accadimento, che è da presumersi da esso conosciuto, ché riferito ad una condotta dallo stesso posta in essere [73]. L’eventualità, che l’ingegneria contrattuale tenta di scongiurare mediante l’introduzione nei regolamenti contrattuali delle clausole di denuncia preventiva (c.d. deeming clauses), ovvero del c.d. continuous cover [74], dovrebbe, altresì, essere contenuta governando il problema secondo un equilibrato bilanciamento tra l’interesse del cliente a non veder frustrato l’affidamento sulla copertura e quello dell’assicuratore a non subire il trasferimento di un danno, piuttosto che di un rischio, da disporsi nel segno del principio di buona fede, impiegato a fini correttivi nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.). Se è vero che l’uti­lizzo di una polizza su base [continua ..]


NOTE