Il lavoro muove da una ricognizione delle tipologie di clausole di gestione della lite, inserite nelle polizze sottoscritte dalle p.a. e soggetti assimilati, per poi verificare se il patto garantisca all’impresa quegli stessi margini di manovra che le si reputano attribuiti i reputa quello quando l’assicurato è un privato. Quindi vengono considerati le modalità operative che devono essere osservate nell’esecuzione dello specifico accordo evidenziando come il diritto riconosciuto all’assicurato convenuto di chiamare in causa l’assicuratore venga sostanzialmente negato quando la controversia è devoluta alla giurisdizione amministrativa di legittimità od esclusiva.
The work starts from a survey of the types of litigation management clauses, included in the policies signed by the Public Administrations and similar subjects, to then verify whether the agreement guarantees the company the same margins of manoeuvre that are deemed to be attributed to it when the insured is a private subject. The operating procedures that must be observed in the execution of the specific agreement are then considered, highlighting how the right recognized to the defendant insured to call the insurer in the process is substantially denied when the dispute is devolved to the administrative jurisdiction of legitimacy or exclusivity.
1. La presenza generalizzata del patto di gestione della lite nelle polizze sottoscritte dalle p.a. o soggetti ad esse assimilati - 2. Gli interessi di assicurato ed assicuratore nella gestione della lite ed alla sua eventuale definizione - 3. La gestione della lite e la procura a conciliare - 4. La limitazione giurisprudenziale alla chiamata (ex art. 1917, comma 4, c.c.) dellassicuratore nel processo amministrativo - NOTE
Un esame a “campione” delle polizze sottoscritte dalle p.a. a copertura della loro responsabilità civile verso terzi evidenzia che in ognuna di esse è presente una clausola sulla gestione della lite. Nel contratto concluso dal Ministero così come in quello della città metropolitana o del piccolo comune di montagna si rinviene sempre quella previsione che riserva all’assicuratore la gestione della lite. Magari, si rinvengono differenze in merito al ruolo che l’impresa svolge nel caso di gestione giudiziale o stragiudiziale se sono previsti sinistri esclusi per la previsione di una c.d. SIR (Self Insurance Retention) ma, comunque, la prima propone e, costantemente, ottiene di agire, secondo la ricostruzione più diffusa, quale mandataria dell’assicurato, se non ci si inganna, in una prospettiva più ampia rispetto a quella relativa al suo obbligo, nei limiti dell’art. 1917, comma 3 [1], c.c. di tenere indenne il primo dalle c.d. spese di resistenza [2]. La progressiva – ed ormai – risalente affermazione della risarcibilità del danno prodotto dalle p.a. sia nell’esercizio della loro attività aventi carattere autoritativo o meno ha, dunque, condotto ad una generalizzazione di una clausola secondo cui «l’assicuratore assume sino a quando ne ha interesse la gestione della lite tanto in sede stragiudiziale che giudiziale, tanto in sede civile che penale a nome dell’assicurato, designando, ove occorra, legali o tecnici ed avvalendosi di diritti od azioni spettanti all’assicurato stesso». L’esame delle varie clausole, peraltro, permette rilevare qualche differenza o scostamento dal “nucleo duro” che, se si vuole, potrebbe apparire quasi una sorta di incompletezza del patto, se si considera il fatto che gli illeciti delle p.a. e, dunque, le loro responsabilità, possono essere conosciute ed accertate da una pluralità di giurisdizioni [3]. Generalmente, infatti, la clausola non prende in considerazione il caso in cui sia discussa una responsabilità da violazione di interessi legittimi o si controverta in una di quelle materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Dunque, sia quando quest’ultimo è chiamato a sindacare la lesione di una situazione giuridica oppositiva o pretensiva (art. cod. 30 c.p.a.) [4], sia quando conosca la [continua ..]
Muovendo dall’acquisita legittimità della clausola di gestione della lite e, se si vuole, dalla sua idoneità a definire un assetto negoziale capace di contemperare gli interessi di assicurato ed assicuratore, ci si può chiedere se le situazioni prospettabili dopo la presa in carico della difesa da parte dell’impresa siano affrontabili negli stessi termini in cui la medesima questione stragiudiziale o giudiziale avesse riguardato un soggetto formalmente e sostanzialmente privato. Dunque, ci si può, nell’ordine, domandare: la rilevazione secondo cui la capacità delle p.a. ha un carattere funzionale alla soddisfazione degli interessi pubblici affidati dalla legge alla loro cura [12] ha un qualche impatto sulla soluzione? L’azione privatistica – qual è quella che si sostanzia in un negoziato teso a comporre la lite, anche per tramite dell’assicuratore – risulta in qualche modo condizionata dai fondamentali criteri di economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza (art. 1, comma 1, l. n. 241/1990) [13] che costituiscono parametri ordinatori di tutta l’attività esterna delle p.a. e dei soggetti ad esse assimilati? Verosimilmente, la risposta positiva dovrebbe apparire intuitiva sol si considerino le diverse ricostruzioni dottrinali della clausola. In ogni caso, se il patto è funzionale alla realizzazione dell’interesse concorrente dell’assicurato o si pone quale peculiare modalità di adempimento d’un obbligo specifico dell’assicuratore nei confronti del primo (ex art. 1917, comma 3, c.c.), quanto meno, il basilare canone della buona fede oggettiva impone all’impresa di agire avendo riguardo ai principi che l’ordinamento fissa per garantire la correttezza dell’azione delle p.a. Non pare possibile, infatti, ammettere che l’interesse dell’assicurato possa ritenersi pienamente soddisfatto da una condotta del mandatario non conforme ai parametri che orientano e qualificano quella del mandante. L’assicuratore, quindi, quando si avvale delle azioni e dei diritti spettanti alla p.a. assicurata deve rispettare anche le condizioni poste per il loro esercizio. La constatazione che precede, dunque, porta ad immaginare che quella riserva d’attività prevista dalla clausola di gestione della lite ponga a carico dell’assicuratore un obbligo [continua ..]
Ulteriore fronte di diversificazione / complicazione dell’esecuzione del patto di gestione della lite emerge nel caso in cui l’assicuratore oltre alla conduzione del contenzioso ed alla nomina dell’avvocato ottenga anche che l’ente conferisca al legale il mandato a transigere, quando dunque la p.a. attribuisce al fiduciario dell’impresa il potere aggiuntivo (art. 84, comma 2, c.p.c.) di comporre la controversia. Il particolare regime dell’assicurato, infatti, sembra idoneo ad impedire al difensore di avvalersi del proprio potere dispositivo specifico con conseguente paralisi di ogni decisione del gestore che non potrà essere attuata in difetto dello specifico assenso dell’assicurato. Si pensi al caso frequente in cui lo statuto dell’ente locale assicurato preveda che ogni decisione diretta a riconoscere diritti, conciliare, transigere, attribuire somme come a resistere in giudizio sia riservata alla competenza decisionale della giunta comunale [19]. In quest’ipotesi, anche a fronte di un mandato difensivo integrato dalla facoltà di conciliare, risulta obbiettivamente impossibile – in assenza di un consenso espresso del competente organo dell’assicurato – procedere alla definizione della lite. Impossibilità, verosimilmente, assoluta in quanto non superabile neppure facendo valere “l’apparenza” suscitata dal rilascio della procura formalmente incondizionata. Non c’è, infatti, spazio per discutere di tutela dell’affidamento perché il difetto sostanziale – per il particolare regime di pubblicità – è sempre opponibile al sedicente danneggiato interessato a transigere. Peraltro, ferma l’eventuale responsabilità, quanto meno dell’avvocato designato dall’assicuratore, l’eventuale accordo raggiunto tra le parti del processo non potrebbe – seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale – neppure dirsi perfezionato. Il conferimento della procura non abilita il difensore a far sorgere obblighi per il l’ente locale in quanto la valutazione in merito alla consistenza dell’impegno, così come la sua compatibilità con le esigenze economiche dell’amministrazione coinvolta, non possono essere delegate ad un terzo esterno, implicando l’adozione di una delibera di spesa che è condizione necessaria ai fini della [continua ..]
Si deve, in fine, segnalare come la soggezione della p.a. – e dei soggetti assimilati – ad un duplice ordine giurisdizionale, per quanto concerne i profili delle proprie responsabilità verso terzi, non sia indifferente ai fini della tutela delle ragioni dell’assicurata. Infatti, non può dirsi scontato che nei diversi processi (civile ed amministrativo) l’assicurata possa ottenere una sentenza che faccia stato nei confronti dell’assicuratore che, magari, nega che la polizza sottoscritta offra copertura anche parziale al rischio oggetto di causa. La diversità della giurisdizione e non delle regole processuali, infatti, si pone quale insuperabile ostacolo alla più agevole soddisfazione delle ragioni della p.a., impedendole di ottenere ciò che appare a dir poco scontato quando si discute – innanzi all’A.G.O. – di un danno arrecato al terzo nell’esercizio di attività non autoritativa. Infatti, all’apertura di principio alla chiamata dell’assicuratore che sembra contenuta nel processo amministrativo (ex art. 28 del c.p.a. – che ammette, appunto, la chiamata del terzo nel processo amministrativo) si contrappone una radicale chiusura perché la giurisprudenza amministrativa esclude la praticabilità del coinvolgimento dell’impresa nel processo per ragioni, appunto, di giurisdizione: in forza di quell’ormai radicata impostazione del giudice amministrativo per cui gli sarebbe assolutamente precluso conoscere la questioni relative ai diritti soggettivi di natura contrattuale intercorrenti tra assicurato l’assicuratore [28]. Nella sostanza non è la diversità di formulazione delle regole processuali o la loro non perfetta corrispondenza con quelle del rito civile, ma è la (ancora incerta) disciplina sul “riparto” tra ordini giurisdizionali che porta a negare la spettanza all’assicurato della facoltà di coinvolgere nel processo che lo riguarda il proprio assicuratore (ex art. 1917, comma 4, c.c.) [29]. Infatti, già prima dell’approvazione del codice del processo amministrativo – in cui, ripetesi, è prevista la chiamata del terzo (art. 28) – la giurisprudenza non si arrestava innanzi al silenzio sul punto delle previgenti regole di rito. Nonostante il “vuoto” si tendeva ad ammettere il coinvolgimento del privato, [continua ..]