Nel contributo, vengono esaminati taluni istituti del contratto di assicurazione evocati con riguardo al principio di autoresponsabilità, allo scopo di valutare se e in che termini gli stessi possano essere effettivamente ricondotti a tale ambito. In particolare, l'analisi riguarda il divieto di assicurabilità del fatto doloso (artt. 1900, 1917 c.c.), gli obblighi di avviso e salvataggio (artt. 1913, 1914, 1915 c.c.) nonché la disciplina delle dichiarazioni inesatte e reticenti (artt. 1892, 1893 c.c.).
In this paper, certain institutions of the insurance contract referred to with regard to the principle of self-responsibility are examined, in order to evaluate whether and in what terms they can actually be attributed to this field. In particular, the analysis concerns the prohibition of the insurability of the willful act (arts. 1900, 1917 civ. cod.), the warning and rescue obligations (arts. 1913, 1914, 1915 civ. code) as well as the regulation of inaccurate and reticent statements (arts. 1892, 1893 civ. code).
1. Notazioni introduttive: i lineamenti essenziali dell’autoresponsabilità - 2. L’evento provocato con dolo dall’assicurato - 2.1. Il fondamento della inassicurabilità - 2.2. La deroga al principio di buona fede - 3. L’attività di avviso e di salvataggio - 4. Le dichiarazioni inesatte e reticenti - 5. Congedo - NOTE
Lo scopo di questo contributo consiste nel verificare se alcuni istituti propri del contratto di assicurazione che in qualche modo sono stati considerati manifestazioni dell’autoresponsabilità, possono effettivamente – e, nel caso, in che termini – essere ricondotti a tale ambito. Come è intuitivo, un rigoroso compimento dell’indagine prefissata presupporrebbe che si indicasse preventivamente cosa si intende per autoresponsabilità e, soprattutto, se tale concetto presenti una rilevanza giuridica autonoma, ossia descriva un principio, munito di senso, non riconducibile ad altri principi, o, se, viceversa, sia da intendere come una espressione sostanzialmente descrittiva o tuttalpiù ordinatoria [1]. Non potendosi però, evidentemente, compiere tale indagine e, quindi, prendere una meditata posizione sul cuore della tematica – assai controversa – che, in ultima analisi, costituisce l’oggetto di questo incontro di studi, occorre riparare su un approccio più limitato e minimalista, che parte dagli istituti che sono stati evocati in ambito assicurativo con riguardo alla nozione di autoresponsabilità. Ciò al fine di verificare se essi offrono realmente un contributo per la costruzione del concetto medesimo oppure risultino, invece, suscettibili di essere ricondotti ad altri fenomeni, anticipando già da ora, in proposito, che l’esclusione dall’ambito assicurativo di manifestazioni della “autoresponsabilità”, porterebbe un argomento a favore dell’orientamento che sostiene la scarsa consistenza del principio. La dichiarata scelta minimalista non può, tuttavia, esimere quantomeno da alcune brevi premesse generali sul tema, che riassumono i profili sui quali la dottrina si è mostrata sostanzialmente concorde, essendo imprescindibile un termine di raffronto, quantunque approssimativo, al quale rapportare gli istituti assicurativi. In primis, si reputa di aderire all’opinione di fondo secondo cui, almeno dal punto di vista lessicale ed ordinatorio, l’espressione autoresponsabilità va concettualmente collegata alla situazione soggettiva passiva dell’onere [2]. Si tratta, infatti, della prospettiva a nostro modo di vedere più coerente con l’opzione metodologica di fondo – da sempre condivisa – che vede nella compiuta individuazione dei caratteri delle [continua ..]
Con l’espressione “rischio assicurabile” si designano le situazioni di incertezza suscettibili di essere incluse dalle parti nell’oggetto della garanzia assicurativa, tenendo conto delle esclusioni previste dalla legge, che possono essere “assolute” o “relative”. Tra le esclusioni assolute, che cioè non possono essere superate da una diversa volontà delle parti e che, quindi, se disattese conducono alla nullità della clausola che le prevede o dell’intero contratto a seconda del peso che quella riveste all’interno di questo (art. 1419, comma 1, c.c.), la più rilevante è sicuramente quella, sulla quale dobbiamo adesso soffermarci, relativa al fatto doloso dell’assicurato [10]. Come è risaputo l’art. 1900 c.c., prevede espressamente che l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo e colpa grave dell’assicurato (del contraente e del beneficiario), salvo patto contrario in caso di colpa grave. Conseguentemente, l’evento suscettibile di essere cagionato da dolo dell’assicurato, anche se voluto espressamente dalle parti in quanto oggetto di una espressa pattuizione, non è assicurabile; è invece assicurabile, con patto apposito, l’evento provocato da colpa grave dell’assicurato. Volendo ulteriormente precisare, prima di procedere, la portata della menzionata disposizione, possiamo rilevare che essa individua implicitamente due ipotesi, le quali sono distinguibili sulla base della circostanza che le parti abbiano o meno esplicitamente incluso tra i rischi assicurati l’evento provocato con dolo dell’assicurato: se le parti non hanno contemplato questo caso, ossia nulla hanno stabilito al riguardo, l’evento risulta escluso ex lege dal novero dei rischi assicurabili come avviene per l’evento cagionato con colpa grave e gli eventi catastrofali menzionati nell’art. 1912 c.c. La legge, infatti, espunge ab origine dall’oggetto del contratto la copertura dell’evento contemplato – ad esempio, un incendio –, quando questo si verifica in presenza di uno dei due stati soggettivi menzionati – ossia dolo o colpa grave dell’assicurato – oppure nel contesto di situazioni catastrofali – quali movimenti tellurici, guerra, insurrezioni o tumulti –. Diversa è l’ipotesi, oggetto precipuo della [continua ..]
La verifica presuppone, come è intuitivo, l’approfondimento della preclusione contenuta nella disposizione di cui all’art. 1900 c.c. al fine di metterne in luce il reale fondamento; indagine non del tutto agevole in ragione delle profonde dissonanze riscontrabili in proposito. È stato sostenuto, su un piano assai generale, che alla base di questa contrarietà vi sarebbe un disvalore, dovendosi reputare immorale consentire la copertura assicurativa di sinistri dolosi. Alla base della norma vi sarebbe, dunque, la tutela di un principio di ordine pubblico [12]. Tale impostazione, alla quale possono essere accostate, in quanto non distanti, le opinioni che in vario modo richiamano l’illiceità e/o la non meritevolezza della copertura di tale rischio, tuttavia, non persuade, soprattutto con riguardo all’ipotesi – oggetto di considerazione – nella quale detto rischio sia oggetto di una apposita pattuizione. Qualora, infatti, manchi un accordo in tal senso, può senz’altro rilevarsi, su un piano generalissimo, che la non assicurabilità ex lege dell’evento provocato dolosamente ha alla base l’intento di evitare condotte fraudolente o, più in generale, illecite dell’assicurato a danno dell’impresa, anche in considerazione del fatto che v’è una norma apposita che sanziona il reato di frode assicurativa [13]. Quando però l’impresa pattuisce espressamente con il contraente l’evento doloso dell’assicurato, non vi sono, a nostro avviso, margini per riscontrare profili di illiceità dell’accordo. Le parti, invero, stanno liberamente e in maniera trasparente attribuendo, in cambio di un premio che può essere anche molto elevato, la facoltà all’assicurato di ottenere l’indennizzo ad libitum provocando – naturalmente, nelle ipotesi in cui può materialmente farlo – l’accadimento dell’evento. Una pattuizione di questo genere, invero, potrebbe essere considerata illecita e/o non meritevole se si partisse dalla premessa che la condotta del proprietario volta al deterioramento o alla distruzione di un proprio bene (pensiamo ad uno smartphone o a un tablet) esprima un disvalore. Poiché, tuttavia, così non è, in quanto le ipotesi di rottamazione nel nostro ordinamento sono sicuramente consentite – e, a volte, financo [continua ..]
L’accostamento [23] tra condizione (sospensiva) meramente potestativa e evento doloso suscettibile di essere determinato dall’assicurato, pur non potendo, a nostro avviso, sorreggere l’impostazione appena illustrata, consente ugualmente di individuare una chiave di lettura convincente del fondamento della regola di cui all’art. 1900 c.c. Con riguardo al primo istituto è stato, riteniamo, correttamente sostenuto che la disposizione che prevede la nullità della stessa, ossia l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo dipendente dalla mera volontà dell’alienante o del debitore, esprimerebbe la scelta del nostro legislatore di non consentire ad alcun soggetto comportamenti del tutto arbitrari, anche quando questi costituiscono l’esercizio di un diritto legittimo; intendendo per comportamenti arbitrari quelli totalmente discrezionali e non sindacabili, ossia nei quali non sia riscontrabile alcun interesse del contraente a porli in essere. Si tratta, in altri termini, di comportamenti insuscettibili di essere messi in discussione anche quando eventualmente abusivi [24]. Siffatta inammissibilità è stata impressa a livello giurisprudenziale, quantunque su un piano più generale, dal noto arresto che ha sancito, con riguardo ad una fattispecie contrattuale di concessione di vendita, la sindacabilità anche del recesso ad nutum del concedente, quando emergono elementi di abusività dell’esercizio del diritto [25]; ossia quando l’esercizio del recesso avrebbe potuto essere compiuto osservando la regola della buona fede e, quindi, con modalità atte a preservare la posizione dell’altra parte: “l’esclusione della valorizzazione e valutazione della buona fede oggettiva e della rilevanza anche dell’eventuale esercizio abusivo del recesso, infatti, consentirebbero che il recesso ad nutum si trasformi in un recesso arbitrario ossia ad libitum, sicuramente non consentito dall’ordinamento giuridico” [26]. Secondo tale impostazione alla base del divieto tanto della condizione meramente potestativa quanto del recesso arbitrario, vi sarebbe, in definitiva, la cogenza del principio di buona fede nel nostro ordinamento, alla quale consegue la nullità delle pattuizioni contenenti deroghe a detto principio per contrarietà alle norme, da considerarsi imperative, che lo [continua ..]
Fugacemente ed in forma dubitativa [28], come si ricorderà, era stata avanzata l’idea che possa essere considerata espressione del principio di autoresponsabilità anche la regola posta dagli artt. 1913, 1914 e 1915 c.c., secondo cui l’assicurato deve avvisare prontamente l’assicuratore del sinistro (c.d. obbligo di avviso) e fare il possibile per evitare o diminuire il danno (c.d. obbligo di salvataggio), essendo l’inosservanza di tali condotte, se dolosa, sanzionata con la perdita completa dell’indennizzo e, se colposa, con la riduzione della stessa nella misura del pregiudizio sofferto dall’assicuratore in ragione di detta inosservanza. Generalmente, si considerano le previsioni in ambito assicurativo applicazioni settoriali di quella di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., ai sensi della quale, come noto, il debitore-danneggiante non è tenuto al risarcimento per i danni che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza [29]. Anche con riguardo al fondamento di questa disposizione, peraltro, sempre in forma dubitativa, ma con maggior convinzione, si è fatto riferimento alla figura dell’onere e si è richiamato il principio di autoresponsabilità [30]. Per completezza va ricordato che secondo l’opinione prevalente, tutte le disposizioni menzionate, costituirebbero attuazione, con un grado progressivo di specialità, del principio generale di correttezza ex art. 1175 c.c. [31], che impone ad entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio il dovere di salvaguardare, nei limiti in cui ciò non implichi un apprezzabile sacrificio dei propri interessi, l’interesse patrimoniale generico della controparte del rapporto [32]. Se peraltro si aderisse a tale impostazione che, appunto, riconduce l’attività tanto di avviso e salvataggio quanto di delimitazione dei danni da parte del debitore all’oggetto di un obbligo di protezione, anche questa volta non rimarrebbe alcuno spazio per l’autoresponsabilità e, quindi, la nostra indagine dovrebbe reputarsi conclusa. Reputiamo, tuttavia, che, prima di archiviare velocemente per queste fattispecie – come si è fatto per l’altra ipotesi di cui all’art. 1900 c.c. – il riferimento all’autoresponsabilità, sia necessaria una ulteriore considerazione, la quale poggia essenzialmente sulla [continua ..]
Alcune opinioni, per il vero del tutto minoritarie, hanno sostenuto che anche il comportamento dell’assicurato relativo alla esatta e non reticente descrizione del rischio, contemplato dagli artt. 1892 e 1893 c.c., possa configurare un onere; ossia il presupposto affinché il contratto non possa essere annullato ai sensi della prima norma e sia insuscettibile di essere sciolto a seguito dell’esercizio del diritto di recesso previsto dalla seconda e si realizzi quindi in tal modo “l’interesse del contraente che il contratto sia pienamente valido ed efficace” [36]. Tale convinzione non può però essere condivisa, in quanto l’interesse principale tutelato dalle norme in discorso è, invece, con tutta evidenza, quello dell’assicuratore ad ottenere una esatta rappresentazione della situazione di rischio nella quale versa l’assicurato, al fine di poter operare le opportune valutazioni prima della stipulazione del contratto; esatta rappresentazione che implica la leale e fattiva collaborazione dell’assicurato medesimo, il quale solitamente è a conoscenza di notizie che lo riguardano altrimenti non raggiungibili o assai difficilmente raggiungibili dall’impresa [37]. Per questa ragione la dottrina nettamente maggioritaria non dubita che la condotta richiesta all’assicurato costituisca l’oggetto di un preciso obbligo precontrattuale, che la legge pone a suo carico, appunto per salvaguardare gli interessi e le ragioni di controparte [38]. Ciò è sufficiente ad escludere senza esitazioni la ricorrenza di un’ipotesi di autoresponsabilità. È appena il caso di ricordare, con un cenno, che le reali dissonanze in ordine al fondamento della disciplina sulle dichiarazioni inesatte e reticenti riguardano, invece, le interferenze tra detto obbligo e i principi in tema di vizi della volontà, avendo il legislatore previsto, con una disciplina assai peculiare e per il vero non piana, che mentre l’inosservanza dello stesso con dolo o colpa grave determina l’annullamento del contratto e la perdita del diritto all’indennizzo (art. 1892 c.c.), quella senza tali requisiti legittima il diritto di recesso dell’assicuratore e la riduzione proporzionale dell’indennizzo medesimo (art. 1893 c.c.) [39]. In tale quadro complesso ed eterogeneo, ferma la sussistenza, a nostro avviso non [continua ..]
Volendo tirare le fila del discorso, dobbiamo constatare che dal contratto di assicurazione non giungono segnali incoraggianti in favore della rilevanza del concetto oggetto dell’indagine: come si è visto le tre ipotesi avanzate sono, a nostro modo di vedere, suscettibili di essere spiegate con riferimento ad altri principi e, in particolare, a quello di buona fede, il quale, peraltro, viene declinato in modo differente: nell’art. 1900 c.c., il principio assume le forme dell’abuso del diritto; con riguardo agli obblighi di avviso e salvataggio, si manifesta come un vero e proprio obbligo di protezione nascente dal contratto; con riferimento alle dichiarazioni inesatte e reticenti, sussiste, come si è rilevato, un obbligo anch’esso di protezione ma precontrattuale, ossia derivante dal contatto negoziale che si instaura tra assicurato ed assicuratore (o intermediario) durante le trattative. Tale constatazione, tuttavia, non autorizza a concludere che la verifica che si sta terminando sia da considerare del tutto sterile in ordine alla configurazione del principio in esame, in quanto, seppure in limine, si è potuta riscontrare un’espressione a nostro modo di vedere particolarmente limpida della situazione soggettiva di onere e, quindi, della correlata situazione di autoresponsabilità, nel comportamento richiesto al creditore per ottenere l’integrale risarcimento ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.