Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Corte Suprema di Cassazione (Sez. III) – 7 novembre 2019, n. 28625 – Pres. Vivaldi, Est. De Stefano, P.M. Pepe (conf.) – A. (avv. Testori) c. N. (avv. D´Errico).


MASSIMA

È censurabile in sede di legittimità l’interpretazione della polizza compiuta dal giudice di merito, quando tale interpretazione sia manifestamente illogica (1).

È contraria alla logica l’interpretazione d’un contratto di assicurazione del credito, per effetto della quale i pagamenti effettuati dal debitore dell’assicurato dopo la scadenza del periodo assicurativo debbano essere imputati non già ai crediti più antichi (il cui inadempimento era coperto dalla garanzia assicurativa), ma a quelli più recenti, maturati dopo lo scadere del periodo assicurativo (2).

(Sentenza impugnata: App. Milano 13 settembre 2017)

INDICAZIONI

1) Sebbene sia pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che l’interpretazio­ne del contratto adottata dal giudice di merito possa essere sindacata in sede di legittimità quando sia “manifestamente illogica”, non sono frequenti i casi di ricorsi accolti sotto questo profilo. Nel caso deciso dalla sentenza in rassegna, secondo l’interpretazione adottata dal giudice di merito, i pagamenti effettuati dal debitore dell’assicurato a quest’ultimo, eseguiti dopo lo scadere del contratto, si sarebbero dovuti imputare non già ai crediti maturati durante la vigenza di questo (il che, ovviamente, avrebbe ridotto l’esposizione indennitaria dell’assicuratore), ma a quelli maturati dopo: un’interpretazione, ad avviso della Corte di Cassazione, incoerente con l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c., il quale nell’assicurazione contro il rischio di insolvenza si sostanzia nel dovere di astenersi dal fare credito ad un cliente già in stato di decozione.

Sulla sindacabilità in sede di legittimità delle interpretazioni contrattuali “illogiche” si vedano, tra le tante, Cass. 18 maggio 2016, n. 10271; Cass. 31 maggio 2012, n. 13242; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178. Il principio ripetutamente affermato in queste e molte altre sentenze, è che l’interpretazione del contratto è un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

L’ultima delle decisioni appena ricordate precisa altresì – ma anche questo è principio consolidato – che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzio­ne agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra.

(2) Non consta alcun precedente su fattispecie analoga.

Sull’assicurazione del credito e sulla peculiarità delle clausole che la connotano, si vedano, ex aliis, B. Manfredonia, Assicurazione del credito e buona fede: a proposito di interpretazione sistematica e assiologica del contratto, in Contr., 2014, 7; C. Arlechino-N. De Luca, Clausole di regolazione del premio nell’assicura-zione del credito: «autonomia» o «accessorietà» del conguaglio e supplementi nelle assicurazioni mutue, in Dir. econ. assic., 2007, 501; G.B. Barillà, Polizza fideiussoria e assicurazione del credito tra attività bancaria e assicurativa: funzione di garanzia e profili atipici, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 508; G. Bollino, Questioni in tema di assicurazione del credito, in Giur. it., 1983, I, 1, 1318.

  FATTI DI CAUSA La Nuova Eurozinco S.p.A., società di lavorazione e commercio di ferro e metalli non ferrosi, aveva assicurato con polizza n. 733681 della Atradius Credit Insurance N.V., con decorrenza 1° aprile 2010, le perdite da parziale o totale mancato pagamento di crediti verso i clienti derivanti da normale attività commerciale dell’assicurata e riferiti tra l’altro a merce spedita nel periodo di validità della polizza, sia pure per una percentuale dell’85% della perdita e comunque entro il limite del credito (o, descrittivamente, del fido). In particolare, quanto agli insoluti delle clienti Romazinc srl e Romazinc sud srl per forniture di zinco per rispettivi euro 465.625,08 e 174.567,85 fino al 1° ottobre 2010 (data di revoca della copertura assicurativa), l’assicurata aveva adito il Tribunale di Milano per conseguire la condanna dell’assicuratrice al pagamento dei relativi indennizzi, pari a totali euro 212.500,00, riferibili per euro 170.000 agli insoluti di Romazinc srl e per euro 42.500 a quelli di Romazinc sud srl. La convenuta contestò la domanda, salvo il riconoscimento della spettanza di indennizzo sul secondo sinistro e per soli euro 19.571,46, in quanto gli ingenti pagamenti ricevuti dall’assicurata in tempo successivo agli insoluti, benché imputati dalle debitrici a forniture più recenti, avrebbero dovuto essere invece imputati, a ter­mini di polizza, in stretto ordine cronologico di maturazione e pertanto a quelli oggetto di assicurazione, da considerarsi così estinti: e tale eccezione fu accolta dal tribunale, che ritenne pure la relativa interpretazione del contratto la più coerente con l’obbligo di salvataggio previsto dall’art. 1914 c.c., pure rilevando che, dopo l’apertura dei sinistri, per comportamento concludente era intercorso nuovo patto tra le parti di riconoscimento dell’imputazione per almeno euro 25.000 mensili di ogni nuovo pagamento ai crediti coperti dall’assicurazione. La sentenza del tribunale ambrosiano (2 ottobre 2014, n. 11564) fu gravata di appello dalla soccombente assicurata: che, resistendovi l’assicuratrice, la corte territoriale accolse, interpretando invece la clausola di polizza come riferita ai soli pagamenti imputati ai crediti assicurati ed esclusa la violazione dell’obbligo di salvataggio in base a diversi elementi, tra cui: la mancanza di prova di un accordo successivo tra l’assicurata e le sue clienti; il sollecito delle imputazioni dei pagamenti ai crediti più recenti da parte dell’amministratore giudiziario delle società clienti, nominato a seguito di sequestro penale preventivo delle quote di queste e durato almeno fino a fine maggio 2011; la corrispondenza di tale imputazione alle esigenze di separazione delle gestioni proprie del procedimento penale e, in ogni caso, allo stesso interesse [continua..]
Fascicolo 4 - 2019